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CANNES 2016 Settimana della Critica

Albüm: l'impossibile legame sociale

di 

- CANNES 2016: Mehmet Can Mertoglu presenta un’opera prima formalmente riuscita che analizza senza concessioni l’assurda vacuità dell’esistenza

Albüm: l'impossibile legame sociale
Murat Kiliç e Şebnem Bozoklu in Albüm

Con il suo primo lungometraggio, Albüm [+leggi anche:
trailer
intervista: Mehmet Can Mertoglu
scheda film
]
, presentato in competizione alla Settimana della Critica del 69° Festival di Cannes, il giovane cineasta turco Mehmet Can Mertoglu (27 anni) non ha scelto la strada più facile. I suoi protagonisti, Bahar (Şebnem Bozoklu) e Cüneyt (Murat Kiliç), i coniugi Batihyaroglu, non sono per niente eroi glamour, né anti-eroi intriganti, bensì due membri di una classe media senza rilievo, che si nutre di sceneggiati tv per le signore e di partite di calcio per i signori, una coppia il cui unico piacere intenso sembra quello di assimilare cibo. Ma l’impiegata al servizio delle imposte e il professore di storia hanno un segreto che serve al cineasta da filo conduttore per tracciare, di riflesso, un quadro al vetriolo della condizione umana del suo paese.

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Abilmente introdotto in modo piuttosto misterioso, amando il regista seminare di zone d’ombra il suo delicato tessuto narrativo (un proposito rafforzato da numerose ellissi e dalla laconicità dei due personaggi principali), questo segreto ruota attorno a un bambino. Bahar e Cüneyt cercano di adottarne uno di nascosto e fanno finta di aspettare un bebè. "La mia pancia finta mi prude", si lamenta la futura madre bombardata di foto da suo marito impegnato a comporre un album che contenga più prove possibili della gravidanza. La speranza di un cambiamento per Cüneyt è forse legata a un inganno, ma sembra anche che in Turchia l’infertilità sia percepita come una vergogna. Ad ogni modo, i nostri due banali cospiratori si lanciano in visite all’orfanotrofio, occasione ideale per il cineasta per tracciare un ritratto caustico della ridicolaggine della burocrazia imperante, della xenofobia (osservando un bebè: "non mi piace", "neanche a me", "sembra un siriano o un curdo"), dell'aggressività di un ambiente in cui gli insulti si sprecano in assenza dei principali interessati ("uno stronzo ne rimpiazza un altro"), delle lamentele continue di una classe sociale ossessionata dal materialismo e dalla costosa educazione scolastica della nuova generazione, e di una comunicazione totalmente fittizia quando non completamente inesistente. Un’osservazione al microscopio che segue le peripezie banali pre e post-adozione di una coppia che non ha cattive intenzioni, ma che incarna una forma di stagnazione e declino. Il tutto analizzato con una minuzia quasi documentaristica attraversata da tocchi di umorismo nello spirito del teatro dell’assurdo alla Ionesco.

Diretto con grande maestria con, fra l’altro, uno spiccato senso della scenografia, una composizione sofisticata delle inquadrature (con l’aiuto prezioso del direttore della fotografia rumeno Marius Panduru) e con piani sequenza tranquillamente controllati, Albüm rivela un cineasta dotato di numerose qualità. Tuttavia, la natura stessa del film rende impossibile provare empatia per i due protagonisti e sprigiona un profumo generale che sfiora la misantropia, il che limita l’adesione a un lavoro molto riuscito, ma la cui precipitazione finale degli eventi un po’ artificiale lascia leggermente perplessi. Ciò nonostante, il potenziale di Mehmet Can Mertoglu è indiscutibile visto che ha già destato l’interesse di Calin Peter Netzer e Danis Tanovic, che figurano tra i coproduttori di questa opera prima (sostenuta anche dalla Francia) venduta nel mondo da The Match Factory.

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(Tradotto dal francese)

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