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FILM / RECENSIONI

Il mistero di Lovecraft (Road to L.)

di 

- In un gioco di rimandi tra realtà e finzione, si immagina che H.P. Lovecraft si sia recato in Italia nel 1926 e abbia tratto spunto dai miti tradizionali del Polesine per i suoi racconti

Ci ha lasciato in eredità il mito di Cthulhu, impronunciabile quanto terrificante saga di un'antica creatura proveniente da dimensioni sconosciute assieme alle sue feroci divinità. Ma quando Howard Philips Lovecraft morì, il 15 marzo 1937, al Jane Brown Memorial Hospital di Providence (Rhode Island), non esisteva neppure un'antologia dei suoi meravigliosi racconti. Oggi è considerato uno dei padri della letteratura soprannaturale e orrorifica.
Lovecraft non ha mai messo il naso fuori dai confini degli Stati Uniti, ma Il mistero di Lovecraft (Road to L.) si basa sulla possibilità che il "solitario di Providence" si sia recato in Italia nel 1926 e abbia tratto spunto dai miti tradizionali del Filò del Polesine per i suoi racconti più famosi. Il Filò è una tradizione tramandata per secoli, nei paesi e nelle campagne. Una sorta di iniziazione alla vita. Mentre si lavora, si fila, al caldo della stalla e si fa Filò tutti assieme, dai bambini ai nonni, trasmettendosi usanze, consuetudini, canti, fiabe, superstizioni. A Lovecraft interessava il passato, l'ignoto, lo straordinario. "L'emozione più forte del genere umano è la paura, e la paura più antica è la paura dell'ignoto", scrisse in un saggio del 1927.
Il film, un progetto a lungo coltivato dai due registi Federico Greco e Roberto Leggio, ha l'aspetto di un "docufiction", in un gioco di rimandi tra realtà e finzione. Per assaporarlo bisogna dare credito agli autori, bisogna liberare il proprio "pensiero magico", quello che convive con il "pensiero razionale" in costante interazione nella quotidiana sperimentazione della realtà di ciascuno di noi.

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Il regista Federico Greco è "cresciuto" nel culto di Stanley Kubrick (a cui ha dedicato un appassionato documentario, Stanley and Us). Impossibile non partire dal regista americano. Kubrick ha rinnovato i generi, sconvolgendoli, rielaborandoli e ridefinendone i codici. L'obiettivo del suo cinema è quello di creare una cosmogonia, una riduzione dei caratteri di tutta l'umanità in immagini e suoni. Kubrick, come ha spiegato il critico di Positiv Michel Ciment, era in grado di percepire tutte le angosce del mondo contemporaneo e, in quanto lettore di Freud e appassionato di psicanalisi, sapeva dare ad ogni film un approccio differente e profondo. Nella mani di Kubrick, infatti, il genere horror (con Shining) raggiunge potenzialità d'invenzione uniche, perché, sotto un'avvincente narrazione, si leggono temi fondamentali legati all'uomo occidentale. Fedele al suo idolo cinematografico, Federico Greco smonta gli ingranaggi del genere horror, mostrandone i singoli elementi, lo assolutizza, e ne innesta i presupposti (Lovecraft) nella cultura popolare (il Filò).
Ma, scopertamente, il regista è più interessato al come che al perché. Ecco dunque che il salto dal documentario alla finzione non è mai completo: si visualizzano i meccanismi della dimensione narrativa, del fare cinema, si mette in scena lo sviluppo del film, ripreso nel preciso istante del suo prodursi.

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