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FILM / RECENSIONI

La petite chambre

di 

- Il candidato svizzero all’Oscar 2011 del miglior film straniero. Un'opera prima di finzione di due registe interpretata da Michel Bouquet e Florence Loiret-Caille

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riposa sulla dinamica ben rodata, a priori, di due dolori opposti che si placano nello scontro. A priori, giacché passata una prima mezz'ora pericolosamente programmatica, il primo lungometraggio di finzione delle registe svizzere Véronique Reymond e Stéphanie Chuat si rivela più perverso, sottile e audace di quello che il suo preambolo annuncerebbe.

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Ecco quindi Rose (Florence Loiret-Caille), infermiera a domicilio, che incontra Edmond (Michel Bouquet), uomo anziano che vive solo nel suo appartamento. Lei è, per lui, come il Grande Fratello. Una cosa è certa: al primo segno di debolezza davanti alla giovane donna, Jacques (suo unico figlio in partenza per gli Stati Uniti) lo manderà in una casa di riposo. Le difese naturali di Edmond dinanzi a tali aggressioni sono quelle tipiche della prima e della terza età: cattiveria, indifferenza, broncio. Ma Rose se ne infischia. Ha perso suo figlio. In fondo alla sua anima, c'è un blocco di granito, di marmo, una tomba su cui rifiuta di mettere i fiori. Edmond può colpire; la pietra non si scalfisce.

Una volta impostato lo scenario, Véronique Reymond e Stéphanie Chuat fanno avanzare i personaggi a passi vellutati, dolcemente, come vegliardi in pantofole ricurvi sui loro bastoni. Direzione la "piccola stanza", che dà il titolo al film. Una camera per bambino ancora decorata, ma che non è mai servita e in cui, dopo qualche peripezia, Edmond decide di stabilirsi. Territorio centrale del racconto, la stanza è al contempo nido e tomba glaciale, luogo di vita banale (il marito di Rose vi viene a cercare una lampadina per sostituirne un'altra che si è rotta) e di fantasticherie.

Arrivata a destinazione (o forse maturazione), la narrazione si fa da quel momento più torva, più ambigua, più audace. Orchestrata in modo sublime da un Michel Bouquet la cui precisione della recitazione è pari solo alla sua intensità, la trasformazione di Edmond in lattante tirannico costringe Rose a diventare la madre che non è mai potuta essere. L'irruzione improvvisa di questa figura kafkiana in un mondo per lo più influenzato, sin lì, dalla vena naturalista dei Dardenne e del Moretti de La stanza del figlio [+leggi anche:
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, crea una falla in cui sprofondano il film, i suoi personaggi e i suoi spettatori. Ci ritroviamo così - alla fine - davanti al vuoto, il respiro spezzato, in equilibrio.

Sicuramente è questa una delle ragioni dell'ovazione seguita alla proiezione di La petite chambre al Festival de Locarno, l’estate scorsa. Accoglienza legittima che sarà stata alla base della candidatura di questa opera prima come rappresentante della Svizzera nella corsa all'Oscar 2011 del miglior film straniero. Il film raggiunge Uomini di Dio [+leggi anche:
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e La Yuma nella lista dei sessantacinque pretendenti al titolo dell'anno. Già di per sé, una consacrazione.

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