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CANNES 2017 Concorso

Happy End: un ritorno al passato per Michael Haneke

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- CANNES 2017: Dopo due Palme d’oro, il cineasta austriaco ritrova con serenità, in un ambiente un po’ glaciale, i motivi più familiari del suo cinema precedente Il nastro bianco

Happy End: un ritorno al passato per Michael Haneke
Jean-Louis Trintignant in Happy End

I titoli di testa e le prime scene di Happy End [+leggi anche:
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, in cui Michael Haneke gioca con il formato video del telefono cellulare, solleticano piacevolmente l’impazienza gonfia di aspettative che i festivalieri riuniti sulla Croisette per la 70a edizione del Festival di Cannes sentivano molto forte all’inizio della proiezione del film in competizione. Dopo due Palme d’oro tra le più meritate della storia del grande evento  la prima ha incoronato l’apice sublime e pacato di una ricerca implacabile sul male umano (Il nastro bianco [+leggi anche:
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), la seconda ha omaggiato una sconvolgente profusione di emozioni che avrebbe potuto anche chiudere meravigliosamente una carriera di ammirevole integrità (Amour [+leggi anche:
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, anche premio Oscar l’anno successivo), ci si aspettava di rimanere quantomeno stupiti da un lungometraggio dal titolo evocativo come Happy End. Potevamo immaginare che fosse ingannevole, certo, augurandoci segretamente che non lo fosse, ma quel titolo sembrava comunque farci una promessa, che l’immenso cineasta austriaco, forse, non ha del tutto mantenuto.

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Le prime scene pertanto, in particolare i tre video fatti col cellulare e commentati, nel linguaggio dei giovani, da alcune leggende che compaiono in basso sullo schermo, suscitano l’interesse, e denotano l’attenzione del regista per gli strumenti della comunicazione (e mediatizzazione) della nostra epoca, ricordandoci allo stesso tempo l’Haneke geniale di Benny’s Video. Riconosciamo anche, nella freddezza e la distanza dello sguardo della bambina che filma di nascosto sua madre depressa, lo stile enigmatico di Niente da nascondere [+leggi anche:
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, il suo modo di osservare freddamente da lontano, senza farci sentire – completato da altre ellissi narrative che ci lasciano volontariamente in uno stato di ignoranza che rientra tra le sfide del racconto.

I membri di questa famiglia borghese titolare di una grossa impresa di costruzioni, che  ci compaiono poco per volta in Happy End, hanno d’altronde numerosi punti in comune con i personaggi di Niente da nascondere, in particolare i grandi sensi di colpa che li ossessionano e li disconnettono dagli altri e da se stessi, una distanza (che è anche un filtro) che il summenzionato posizionamento della cinepresa rende in modo ostinato. Questo consesso umano stranamente unito e allo stesso tempo rilassato, che non parla durante i pasti, è formato dal patriarca (Jean-Louis Trintignant), né troppo gentile né troppo cattivo, da sua figlia Anne (Isabelle Huppert), rigida ma umana, madre di Pierre (Franz Rogowski del favoloso Victoria [+leggi anche:
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, qui al centro di una delle scene migliori del film, quella del karaoke), del fratello Thomas (Mathieu Kassovitz), un uomo sposato che intrattiene su internet un dialogo sessuale in cui rivela tutte le sue oscure pulsioni (pensiamo stavolta a La pianista [+leggi anche:
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la sua amante, d’altronde, suona la viola) e deve introdurre in famiglia sua figlia Ève di 13 anni, di cui ha da poco ottenuto la custodia. La famiglia è completata dai domestici Rachid, che si prendono cura di essa più di quanto non facciano i suoi stessi membri.

In queste condizioni, accogliere una pre-adolescente traumatizzata dalla perdita di sua madre (senza sapere bene che ruolo vi abbia avuto) è un’operazione strana che seguiamo spesso attraverso lo sguardo di Ève, uno sguardo vuoto, come indifferente, che "non sa" (come lei ripete ogni volta che le si chiede qualcosa), ma che finisce per percepire con una nettezza pungente l’assenza di amore, quello stesso amore che traboccava nel film omonimo e di cui Haneke qui cancella la forza, inserendo nella sceneggiatura una precisione che contribuisce a tenercelo lontano, per rimpiazzarlo con una freddezza familiare di cui ha forse esaurito un po’ il potenziale, poiché rivisita tanti terreni conosciuti senza esplorarne di nuovi, tranne forse nell’ultima scena, molto bella, dove una sagoma si immerge gradualmente nell’acqua.

Prodotto da Les Films du Losange, X Filme Creative Pool e Wega Film, il film è venduto nel mondo da Les Films du Losange.

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(Tradotto dal francese)

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