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BERLINALE 2017 Forum

Barrage: tutto su mia figlia

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- BERLINO 2017: Laura Schroeder descrive un triangolo madri-figlie con consumata intelligenza che rende la fluidità dei sentimenti più profondi. Con Isabelle Huppert, Lolita Chammah e Thémis Pauwels

Barrage: tutto su mia figlia
Thémis Pauwels e Lolita Chammah in Barrage

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, presentato alla 67a Berlinale nella sezione Forum, è la storia di un ritorno: quello di una giovane donna che torna da sua figlia, dopo aver lasciato che la crescesse sua madre per il bene della bambina e che, come indica il titolo, fatica a buttar giù il muro che si è creato tra la sua assenza e la vita che è continuata senza di lei. Il motivo complementare al racconto del ritorno è quindi una relazione madre-figlia doppiamente triangolare.

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Nello spirito di questa geometria perfetta, l’autrice, la lussemburghese Laura Schroeder, al suo secondo lungometraggio dopo il film per ragazzi Schatzritter [+leggi anche:
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, ha accuratamente ridotto la ripartizione al minimo: tre attrici dalle performance molto taglienti, tre età differenti (ma con tratti similari sorprendentemente plausibili), con poche persone intorno, interpretano l’interessante balletto dei sentimenti tra i personaggi, tra amore e sfiducia, che fa di questo triangolo un poligono fluttuante. C’è innanzitutto la giovane madre, Catherine (Lolita Chammah), così calma di carattere che si intuisce sia stata costretta a calmarsi, ma che resta semplice e spontanea. La bambina, Alba (Thémis Pauwels), che ha, grazie agli allenamenti che sua nonna e coach le impone senza sosta, una disciplina di ferro, e nella quale si legge un’intelligenza incredibilmente matura dietro al suo sguardo infantile, ma che a volte ha anche la testa altrove, su una barca che fluttua al contrario nello specchio di un lago. E poi c’è la nonna, che vediamo un po’ meno ma di cui ogni scena è una delizia poiché l’attrice che le presta il volto è Isabelle Huppert, quella Huppert sarcastica che ultimamente abbiamo il piacere di ritrovare di film in film.

La storia, dunque, è semplice, ma attorno a questi tre personaggi perfettamente delineati, Schroeder costruisce il suo film con un’arte consumata a partire dall’immagine, che notiamo sin dai primi minuti – quando Catherine cerca lo sguardo di sua figlia – essere notevolmente attenta e precisa. Come indica molto presto la breve scena in cui Catherine invita suo padre ad andare a vedere un oggetto misterioso e poi si passa immediatamente ad altro, l’immagine è ridotta all’essenziale, ovvero al gioco di echi tra un rapporto madre-figlia e l’altro. In ogni inquadratura del film, nessun gesto è superfluo, il che ci permette di gustare al meglio il faccia a faccia della riunione, ad esempio, così come il formidabile sguardo d’impotenza di Alba presa tra sua nonna e sua madre, o ancora la scena della partita, che vediamo da un lato solo del campo per poi tornare, alla fine, verso l’altra metà vuota.

La stessa precisione diabolica vale per i dialoghi, dove ogni minima parola ha il suo peso (quando Catherine dice "a causa del tennis", sua figlia dice "grazie a") e che includono battute molto semplici e molto belle, come quando Alba cita la sua amica Agathe, e Catherine risponde: "Mi piacerebbe avere il nome di una pietra".

Questo minimalismo nella composizione, o meglio questa attenzione a ciò che conta davvero, e inclusa la poesia dei sentimenti, hanno qualcosa della coreografia, come quella che Alba mostra a Catherine in un campo, in una scena toccante e liberatoria che ricalca il loro primo incontro nel film. Poco a poco, i sentimenti si liberano, col contagocce, con cautela, come attraverso quei canali che hanno le dighe per far passare i pesci.  

Il film è prodotto da Red Lion con Entre Chien et Loup e MACT Productions, e le vendite internazionali sono gestite da Luxbox.

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(Tradotto dal francese)

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