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Emanuele Crialese • Regista

"Terraferma è un film sulla libertà di andare altrove"

di 

- Terraferma: Crialese rifiuta l'etichetta di 'film sull'immigrazione'. “Vorrei che fosse definito un film sulla libertà per tutti di potere andare altrove”

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, in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, viene portato domani nelle sale italiane da 01 Distribution in 207 copie. Il film di Emanuele Crialese è una co-produzione francese e il produttore Riccardo Tozzi è sicuro che avrà una diffusione molto ampia come è accaduto con gli altri film di Emanuele.

Crialese rifiuta l'etichetta di 'film sull'immigrazione'. "Vorrei che fosse definito un film sulla libertà per tutti di potere andare altrove", dice.

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Cineuropa: Vi siete ispirati ai fatti di cronaca sull'immigrazione e gli sbarchi o avete lavorato di fantasia?
Emanuele Crialese: La cronaca che leggevamo sui giornali in quel periodo rappresentava per noi un po' tutto quello che sapevamo di dover mettere nel nostro film, è stata una grande fonte di ispirazione, tutte le notizie che raccoglievamo al riguardo venivano messe in un bagaglio da usare per trasformare e raccontare una storia che uscisse dai canoni televisivi e documentaristici. Mi colpì in particolare la storia di una barca rimasta alla deriva per tre settimane, con a bordo 79 persone: 76 morirono, tre sopravvissero, e quando vidi sul giornale il volto di Timnit, la donna che era fra i sopravvissuti rimasi profondamente turbato. Aveva la faccia di chi aveva attraversato l'inferno ed era arrivata in paradiso. L'ho voluta subito incontrare, ero ancora in una fase germinale della sceneggiatura, indeciso se affidarmi ad attori o a persone che davvero avevano vissuto quell'esperienza.

In che modo ha contribuito la presenza di Timnit nel cast?
Lei non voleva raccontare la sua storia personale, era come se volesse creare una separazione tra la sua vita prima dello sbarco e quella futura, non ha voluto fornirmi dettagli sulla sua esperienza. A quel punto le ho chiesto di rinventare insieme a me una storia nuova, proponendole quella che avevo scritto io e chiedendole di correggerla dove pensava che io avessi sbagliato. Ho potuto farlo perchè a quel punto la sceneggiatura ci permetteva un margine di libertà ancora molto ampio. E' una donna dal volto molto espressivo, una grande dignità ed è sempre sorridente ed ha una grande voglia di dimenticare. Lavorare con lei è stata una grande lezione di vita per me.

Pensa che il nostro Paese non sia in grado di gestire l'immigrazione, che ci sia una distanza tra le leggi dello Stato e le leggi degli uomini?
E' un dato di fatto, la legge dello Stato va contro i doveri morali del mondo civile, lasciar morire le persone in mezzo al mare è un segno di grandissima inciviltà, una barbarie assurda. Ci bombardano di notizie in tv e sui giornali e a volte non ci rendiamo nemmeno più conto della tragedia che c'è dietro a questi sbarchi della disperazione, ci facciamo scivolare tutto addosso. E' un problema di direzione morale, il mio pescatore la rotta non l'ha mai persa ma la maggior parte della gente oggi in Italia sì. Si etichettano queste persone con un aggettivo orribile che è 'clandestino', così in Italia i media definiscono i protagonisti di questa tragedia che sta esplodendo nel nostro mare, e la responsabilità dello Stato e di larga parte dell'informazione è grandissima.

Ha pesato l'esigenza di mantenersi nel politicamente corretto?
Io credo di aver fatto un film che non giudica nessuno, è una storia, un'analisi aperta. Io giro e mi pongo delle domande, non devo fornire risposte. Che un film così susciti dibattito è un bene, ma... non riesco a fare film per temi o tesi. Il mio pubblico ideale è un bambino di 7 anni.

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