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Benoît Jacquot • Regista

"Le attrici interpretano il presente, non il passato"

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- Come dare un tono moderno a un film d'epoca. Il regista di Les Adieux à la reine, che ha aperto in concorso la 62ma Berlinale, spiega il suo metodo.

Per il suo 20mo lungometraggio, Les Adieux à la reine [+leggi anche:
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che ha aperto in concorso la 62ma Berlinale, Benoît Jacquot è riuscito a trattare il passato, e l'inizio della caduta della monarchia in Francia nel 1789, con accenti moderni. Un approccio che ha spiegato alla stampa internazionale presente nella capitale tedesca.

Qual è stato l'approccio alla sceneggiatura di questo adattamento del romanzo Les Adieux à la reine di Chantal Thomas?
Benoît Jacquot: Quello che mi interessa in una sceneggiatura, anche se tratta un periodo lontano nel tempo, è di riuscire a rendere tutto ciò che filmo e che chiedo agli interpreti il più attuale possibile per lo spettatore di oggi. Tutto ciò che è aneddotico, che rimanda a un'intimità della vita dei personaggi e delle situazioni in cui evolvono, tende a dare una presenza, una vita alle cose, che ce le rende molto vicine anche se si sono svolte secoli fa. Con la musica, è un po' la stessa cosa. Ho fatto ormai diversi film con il compositore Bruno Coulais e abbiamo un modo un po' speciale di lavorare, poiché la musica viene composta prima delle riprese. Ciò significa che fa veramente parte integrante, quasi in maniera organica, del film che voglio fare. So quale sarà la musica, la sua posizione, i suoi tempi, ancor prima di girare. Per me, è molto importante.

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Come è riuscito a rendere moderna la recitazione delle attrici per un racconto che si svolge nel 1789?
E' un modo di girare, di accogliere gli interpreti, in questo caso le attrici, che evita di introdurli in un mondo che esce dal passato. Anche se sono in costume e in una scenografia d'altri tempi, cerco di dar loro l'impressione che non ci sia rottura tra il momento in cui girano e ciò che devono rappresentare. Questo vale anche per il modo di girare, per il susseguirsi delle scene. Cerco di dare una specie di ovvietà alle cose, in modo tale che gli interpreti si comportino così perché devono comportarsi così: esattamente come quando vivi il presente. Le attrici interpretano il presente, non il passato. E' per questo che il film dà questa sensazione di attualità. Ci sono due modi per fare film storici. In maniera storiografica, come un antiquario, che può essere molto bello, con una grande attenzione nel mostrare il passato come un mondo a sé. Oppure, ed è il mio metodo, cercare di renderlo il più contemporaneo e presente possibile, senza anacronismo. Léa Seydoux, Diane Kruger e Virginie Ledoyen sono riuscite a recitare in costume non come se fossero travestite, ma come se vestissero gli abiti giusto per quel momento.

Che ruolo ha avuto la bellezza nella scelta delle attrici?
La bellezza non è gran cosa senza lo splendore della verità. E' un po' enfatico, ma è Platone a dirlo. Quello che mi aspetto dalle attrici, al di là della loro bellezza, è che siano vere e che, di conseguenza, la loro bellezza sia vera. Perché il cinema è uno strumento di verità e non di menzogna, contrariamente a ciò che alcuni pensano.

Lei rappresenta un re debole. E' stata una scelta per concentrarsi meglio sui personaggi femminili?
Mi sembrava importante che Luigi XVI apparisse come un personaggio indeciso, maldestro, quasi borghese (all'epoca, lo chiamavano "Il grande borghese") e che avesse questo aspetto quasi immaturo, come se il personaggio fosse incompleto, abbozzato. Di conseguenza, nella sua scena con Diane, apporta una sorta di semplicità e di bonomia quasi sorprendenti. Recitare non è l'attività principale di Xavier Beauvois, che è un noto regista. Ma è stata una mia scelta. Ci sono in tutto tre registi francesi nel film, con Noémie Lvovsky e Jacques Nolot. Ci tenevo perché interpretano dei ruoli che in un certo senso richiedono una regia, sia di loro stessi che del mondo che li circonda. Per il re impersonato da Beauvois, va da sé. Mme Campan (Noémie Lvovsky) deve dirigere l'entourage della regina, e Nolot, che interpreta un nobile in corridoio, è un po' come un regista in preda al panico.

Il 2011 ha visto la caduta di molti regni e di dinastie nel mondo. In che misura questa atmosfera l'ha influenzata?
E' praticamente l'oggetto del film, il suo soggetto. Non si tratta di influenze: il film gira attorno a questo. Personalmente, amo molto la fine dei regni. In proporzioni e prospettive chiaramente molto diverse a seconda dei luoghi e delle situazioni, le cadute dei regni si assomigliano tutte. Coloro che detengono il potere vi si arroccano necessariamente, quale che sia l'ideologia o la classe sociale da cui provengono. La fine di un regno e soprattutto i suoi ultimi giorni, giorni di panico perché è un naufragio molto rapido, hanno senza dubbio tratti comuni fin dalla notte dei tempi e identificarli può essere interessante. Bisogna dire che per la Francia e per la storia dell'Europa, i giorni raccontati in Les Adieux à la reine sono stati assolutamente decisivi.

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