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Claudio Fäh • Regista

“Vorremmo che il film diventasse un franchising”

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- Abbiamo intervistato il regista svizzero Claudio Fäh che ha presentato a Zurigo I vichinghi, un ambizioso film d'avventura

Claudio Fäh • Regista

Il regista svizzero Claudio Fäh, che vive e lavora negli Stati Uniti, si occupa per la prima volta di una produzione elvetica. L'ambizioso film d'avventuraI vichinghi [+leggi anche:
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intervista: Claudio Fäh
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(per saperne di più, leggi qui) racconta la lotta per la sopravvivenza di un gruppo di vichinghi intrappolati in territorio nemico, dopo che una tempesta fa naufragare la loro nave in Scozia. L'inaspettato aiuto di un misterioso monaco e la presenza della figlia del re scozzese, la quale verrà presa in ostaggio, completano questo eterogeneo gruppo di eroi. Il film, coprodotto da Svizzera, Germania e Sud Africa, è stato proiettato da poco al Festival di Zurigo e verrà distribuito in oltre 30 paesi. Si vocifera che avrà anche un franchising.

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Cineuropa: Quale aspetto del film ha trovato più difficile da realizzare?
Claudio Fäh: Far sì che il film fosse come una metafora. La cosa più interessante della storia è che rimanda a temi di attualità. Inoltre, abbiamo voluto mostrare le emozioni, malgrado ci fossero molte scene d’azione. Lo spettatore può godersi l'evoluzione di un disordinato gruppo di vichinghi che, man mano che risolvono diverse situazioni e conflitti, iniziano a mettere da parte i loro pregiudizi e a capire che hanno più cose in comune di quanto pensino. Sono individui solitari, lontani da casa e dalle loro famiglie. Sulla stessa barca, convivono uomini di tre religioni diverse che cercano di sopravvivere insieme. Ho sfruttato le diverse personalità degli attori per ritrarre uno sfaccettato mosaico di personalità. Ho chiesto loro di aggiungere qualcosa di se stessi ai personaggi per renderli più riconoscibili al pubblico. Dopotutto, si tratta di un film in cui tutti hanno i capelli lunghi e la barba. 

È curioso che un film sui vichinghi sia ispirato principalmente agli spaghetti western.
Volevo riprendere il linguaggio visivo e i primi piani tipici del genere affinché il film risultasse più realistico, più sporco e “con i piedi per terra”. Non volevo mostrare luoghi irreali, come succede nelle saghe (vedasi Il Signore degli Anelli), che hanno la tendenza a concentrarsi troppo sugli elementi fantastici e a ignorare le leggi della fisica. La mia idea è sempre stata quella di girare un film onesto e diretto, come quelli che faceva Steven Spielberg negli anni '80 e '90. E poi il direttore della fotografia è italiano. Si chiama Lorenzo Senatore ed è figlio di Daniele Senatore. Se c'è qualcuno che sa come si gira uno spaghetti western, è sicuramente lui. 

Avete intenzione di far diventare il progetto una saga?
L'idea è allettante. Adesso va molto di moda perché fa vendere tre biglietti del cinema invece di uno. Tuttavia, al di là dei motivi economici, troviamo che sia interessante ampliare la storia. Vorremmo spiegare cosa succede prima e dopo gli eventi narrati nel film. Per ora, rimane solo un desiderio. 

Il suo film d'avventura è molto ambizioso, ma il budget non è lo stesso dei blockbuster americani. È per questo che non ci sono star internazionali nel cast?
Sì, ma in realtà è stato un vantaggio non avere grandi nomi in locandina. Spesso, le grandi stelle vogliono essere al centro dell'attenzione e alla fine il film ruota intorno a loro. Mettiamola così: non volevo che il progetto diventasse il "Sylvester Stallone show". Nel film c'è equilibrio: ogni personaggio e ogni attore ha il suo momento di gloria.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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