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Veronika Lišková • Regista

“É stata una grande lezione di tolleranza per me”

di 

- Cineuropa ha incontrato Veronika Lišková, regista di Daniel's World, per parlare del documentario in occasione della sua proiezione alla Berlinale

Veronika Lišková  • Regista

Dopo una fortunata anteprima al Jihlava International Documentary Film Festival, dove si è aggiudicato l’Audience Award, il documentario Daniel's World [+leggi anche:
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 di Veronika Lišková,che tratta di pedofilia, la settimana scorsa è apparso nella prestigiosa sezione Panorama della Berlinale. Questo costituisce un grande successo, dal momento che l’ultima volta che un film Ceco era arrivato a Berlino era stata nel 2010 (il film di Jan Hřebejk Kawasaki’s Rose [+leggi anche:
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). Il 19 febbraio, il film, supportato dall’Institute of Documentary Film, uscirà ufficialmente nelle sale in Repubblica Ceca. Cineuropa ha approfittato del festival per fare due chiacchiere con la regista.

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Cineuropa: La fase preparatoria di Daniel's World è durata quasi un anno intero. Come principale fonte di informazione, ha usato il sito della comunità pedofila Ceco-Slovacca?
Veronika Lišková: La mia prima fonte di informazione sono state le confessioni di alcuni pedofili che ho trovato online, insieme a vari consulti con sessuologi ed esperti di tali problematiche. Il sito mi ha aiutato a mettermi in contatto con la comunità e mi ha permesso di seguire alcuni forum dei membri, per capire quali sono i temi che di solito affrontano. In realtà la produzione vera e propria del film è stata ulteriormente ritardata dalla ricerca del protagonista e dalla chiusura del budget di base, più che dalle mie ricerche preliminari.

É chiaro che non volesse inserire nel film troppe informazioni generiche, ma che volesse invece parlare di pedofilia attraverso la storia del protagonista. Ciononostante, non è stata tentata di far notare che a volte allenatori sportivi, artisti, capi scout o altre figure con mansioni di intrattenimento per bambini potrebbero essere pedofili?
Certamente ho avuto la tentazione – anche i pedofili stessi spesso menzionano alcune di queste figure. Abbiamo persino parlato di alcuni di loro durante le riprese con un membro della comunità, ma questo era esattamente il genere di informazione che non doveva emergere nel documentario. A parte questo, volevo che Daniel e i suoi amici si rappresentassero da soli, per loro stessi, e che non si affidassero ad autorità socialmente accettate sui cui orientamenti sessuali ora possiamo solo speculare.

Il protagonista del film, il giovane scrittore Daniel, non ha mai fatto del male a nessuno, e come molti dei suoi amici della comunità pedofila, riesce a sopprimere i suoi istinti e a mantenere i suoi sentimenti verso i bambini su un piano platonico. Perché è così difficile, anche nella nostra epoca “tollerante”, far recepire questo messaggio al grande pubblico? Non crede che lo Stato potrebbe giocare un ruolo più attivo in questo senso? O forse il Ministero dell’Istruzione?
Credo che sia a causa dell’influenza dei media e di una visione semplificata della cosa. Fintanto che i media dipingeranno qualsiasi delinquente e abusatore di bambini come un “pedofilo”, è comprensibile che la maggior parte delle persone non avrà modo di accedere ad altre informazioni. La gente non può sapere, nel panorama dell’informazione di massa, che la maggior parte dei veri pedofili non abusa mai di alcun bambino. I bambini sono molto più spesso abusati da persone che sono sessualmente “normali” ma che hanno qualche neo caratteriale o altro. Il rischio vero va di pari passo con la mancanza di informazione – i genitori non sono in grado di giudicare chi possa veramente nuocere ai propri figli o chi è “sicuro”. Temo che anche i bambini stessi siano ancora educati allo stesso modo – “Non parlare agli sconosciuti che ti offrono caramelle davanti a scuola.” Il fatto che possano essere maltrattati dai loro stessi parenti spesso rimane taciuto. E cosa dire dell’idea che se durante l’adolescenza si scopre di essere attratti da persone molto più giovani, non è una buona ragione per suicidarsi? Di questo non si discute affatto con i bambini.

Le riprese del documentario hanno aiutato il protagonista a “crescere personalmente, chiarire le proprie priorità e a far pace con la propria identità, non soltanto sessuale”. Per lei che cosa ha significato tutto questo?
In primo luogo è stata una grande lezione di tolleranza per me, e anche un campanello d’allarme su quanto limitate le informazioni a disposizione della gente possano essere, nonostante viviamo nel mondo dell’informazione a libero accesso. Inoltre le riprese mi hanno dato modo di conoscere persone estremamente forti – persone in grado di far fronte a orientamenti sessuali così naturalmente complicati, e di investire tanta energia per trattenersi dal superare i limiti.

Il suo film apre le porte a un importante dibattito e contribuisce a divulgare l’informazione sia al pubblico sia a questa comunità di persone che deve imparare a convivere con la propria pedofilia. Oltre alla pagina Facebook del documentario, ha altri progetti per la promozione di questo tema, a parte la proiezione ai festival?
Il film è co-prodotto da Czech TV – pensiamo che se decidessero di inserirlo in programmazione raggiungeremmo un pubblico ben diverso da quello dei festival cinematografici. A parte questo, stiamo sicuramente pensando di distribuire il film su una piattaforma di Video on Demand per renderlo accessibile in streaming. Sebbene non sia primariamente educativo, cercheremo di divulgarlo anche in scuole, conferenze professionali e centri terapeutici, oppure direttamente all’interno delle comunità pedofile in Repubblica Ceca e all’estero.

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(Tradotto dall'inglese)

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