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Stina Werenfels • Regista

"Amo i film che permettono al pubblico di valutare i propri sentimenti"

di 

- Abbiamo parlato con la svizzera Stina Werenfels di Dora or the Sexual Neuroses of Our Parents e il suo sguardo sulla sessualità e la disabilità

Stina Werenfels  • Regista

La regista svizzera Stina Werenfels ha presentato il suo ultimo film, Dora or the Sexual Neuroses of Our Parents [+leggi anche:
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intervista: Stina Werenfels
scheda film
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, al Solothurn Film Festival di quest'anno e da allora lo ha portato nella sezione Panorama Special della Berlinale, prima di passare al Brussels Film Festival, dove ha vinto il nostro Premio Cineuropa. Abbiamo incontrato la regista per parlare del film, di cosa c'è dentro e di cosa c'è dietro, e di come tale argomento (la sessualità nelle persone con disabilità mentale) può essere portato sul grande schermo.

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Cineuropa: Dora or the Sexual Neuroses of our Parents si addentra in un argomento interessante ma imbarazzante per lo spettatore. Cosa gliel'ha fatto scegliere?
Stina Werenfels: Il film è basato sulla famosa opera del drammaturgo svizzero Lukas Bärfuss. L'ho vista nel 2003, e mi ha colpito per le sue qualità controverse e ambivalenti. Mi è sembrato che Lukas mettesse a nudo la nostra società occidentale e la sua ipocrisia. Sebbene viviamo in tempi permissivi e liberali e anche se si dice di dare pari diritti a chi soffre di disabilità mentale, quando si parla di sessualità - e soprattutto di gravidanza - suona il campanello d'allarme. La pièce mi ha permesso di entrare nella zona morale grigia di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, di ciò che è "normale" e ciò non lo è. Mi ha anche dato la possibilità di offrire due forti prospettive femminili sulla fertilità e sulla maternità.

Com'è riuscita ad evitare la rappresentazione convenzionale e stereotipata della disabilità mentale al cinema?
In primo luogo, ci vuole un sacco di ricerca e di immersione nella realtà delle persone con disabilità. Una rappresentazione stereotipata nasce dal mostrare la persona disabile da un unico punto di vista: la disabilità. Non solo è un cliché, ma è anche discriminatorio, perché ogni essere umano ha una vasta gamma di caratteristiche. I disabili sono spesso dipinti nei film come "carini" e "commoventi". È diventato quasi un genere... Ma la nostra Dora è anche viziata, irascibile e ha una voglia di vivere straordinaria; sa essere cattiva con i suoi amici e, soprattutto, ha una forte volontà. Questo la rende un personaggio, non una diagnosi.

Victoria Schulz regala una straordinaria performance, ma lei ha anche lavorato con attori con disabilità mentali. Ha mai preso in considerazione la possibilità di averne uno protagonista?
Sì, sicuramente: l'autenticità è importante. Durante il casting, ho visto recitare studenti con e senza disabilità. Mi sono poi resa conto di quanto la parte fosse estremamente complessa, dal momento che gli attori non disabili erano quelli più esitanti ad interpretare il ruolo per la sua crudezza fisica. Non era mia intenzione forzare una persona senza esperienza, disabile o meno, a fare un'interpretazione radicale. Sarebbe potuta diventare una situazione di abuso che volevo assolutamente evitare. Victoria Schulz non è venuta solo con il suo straordinario talento, ma ha anche subito condiviso la mia visione artistica su Dora: voleva andare lontano - questo è ciò che la interessa come artista. Come regista, voglio adempiere ad entrambi i compiti: essere sincera (e non manipolativa!) con l'attore e fedele al personaggio.

Sebbene sia anche sessuale, il film è molto più psicologico che fisico - la carne è presto sostituita dal cervello...
Amo i film emozionanti, erotici, fisici e "astuti" allo stesso tempo. Permettono al pubblico di valutare i propri sentimenti. Per me, il successo di un film non si misura in numeri, ma sul suo riuscire a portare le sue domande nella nostra vita quotidiana.

Com'è stato realizzare questo film? È stato difficile a causa del tema e dell'approccio?
Ci sono voluti sette anni, dalla scrittura alla prima alla Berlinale. I finanziamenti sono stati sicuramente la parte più difficile. Significava convincere le persone a dare soldi a un argomento tabù senza che io, come autore, smussassi gli spigoli. La sceneggiatura spaventava le film commission - ma era chiaro che rifiutarlo era più una reazione istintiva che un giudizio sulla sua qualità. Ma dobbiamo anche ricordare che, al tempo, il film d'autore in Svizzera era particolarmente sotto assedio: ero molto attiva in politica culturale in quegli anni per cercare di cambiare le cose.

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(Tradotto dall'inglese)

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