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Jean-Pierre e Luc Dardenne • Registi

"Per noi il cinema è materia”

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- I fratelli Dardenne hanno parlato della loro filmografia in occasione del programma 50 anni di cinema belga del Centro del Cinema e dell’Audiovisivo della Federazione Vallonia-Bruxelles

Jean-Pierre e Luc Dardenne • Registi
Luc e Jean-Pierre Dardenne (© Alexis Keyaerts)

Martedì 14 novembre si è tenuto a Bruxelles un grande incontro con i fratelli Dardenne, accompagnati da Fabrizio Rongione, in occasione della presentazione della copia restaurata di Rosetta, loro prima Palma d’Oro, nell’ambito di una retrospettiva a loro dedicata e che fa parte del programma 50 anni di cinema belga del Centro del Cinema e dell’Audiovisivo della Federazione Vallonia-Bruxelles. Questo incontro, condotto da Nicolas Gilson, ha permesso di tornare su questo film essenziale per il cinema mondiale, e sulla filmografia stessa dei Dardenne.

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C’è una vera e propria volontà di rompere con il classicismo nel vostro cinema?
Luc Dardenne:
 C'erano due cose fondamentali per l'estetica del film che volevamo tenere a mente. Innanzitutto, Rosetta non sa come sarà domani. Lei vive il momento perché non può prevedere. Volevamo che lo spettatore avesse l'impressione che le reazioni del personaggio dipendessero da ciò che stava vivendo in quel momento, come in diretta sullo schermo. Siamo lontani da un certo senso del romanzesco, da una storia che si costruisce passo dopo passo, di cui si prevede la fine. In secondo luogo, la nostra videocamera doveva essere in ritardo su Rosetta. Era necessario che lo spettatore non sapesse cosa avrebbe fatto. Conosciamo le sue motivazioni, ma rimane imprevedibile. E’ stato necessario costruire questo con il cameraman per trasmettere questa sensazione di imprevisto.

Il paradosso è che, malgrado un’apparenza di iperrealtà, la camera è molto presente in scena, la si sente molto.
Jean-Pierre Dardenne:
 Sì, certo, sentiamo la camera, ma spero non troppo. L'obiettivo era di evitare il manierismo. Si costruiscono sensazioni e sentimenti attraverso la posizione della cinepresa, ma non si deve essere dimostrativi di questa messa in scena. Trovandosi nel "posto sbagliato", in ritardo, dietro la spalla, la camera vede delle cose e consente a Rosetta e Riquet di esistere nel loro spessore. Cerchiamo di fare in modo che i nostri personaggi non siano solo figure.

L.D.: La fine del film si sofferma sulla faccia di Rosetta. Alcuni lettori della sceneggiatura erano molto spaventati. Si dicevano: "Nessuno amerà questa ragazza". Ma bisognava finire con l'amarla, Rosetta, anche se non è simpatica! E la chiave era la sua faccia. E’ ciò che la rende bella poco a poco. Non c’è stata improvvisazione sul set, ma abbiamo girato in piano sequenza. E’ come un’improvvisazione molto costruita. La camera, la squadra, la persona che inquadra, vivono momenti di tensione molto particolare, ad esempio quando il punto non arriva al momento giusto. Questa tensione dà molto al film.

Come si conserva la spontaneità dopo le prove? Girare in ordine cronologico può aiutare? 
L.D.:
 Non si può spiegare tutto. Ripetiamo molto a monte, soprattutto perché questo cinema è molto fisico. Rosetta fa molti gesti, si muove molto. Quando si filma una caduta, puoi anche ripeterla, ma è sempre la prima volta.

J-P. D.: I nostri campi sono lunghi, non accade mai la stessa cosa quando ripetiamo la scena. Non facciamo segni, né durante le prove, né durante le riprese. Il cameraman conosce il suo posto, ma non è mai la stessa cosa, c'è una tensione permanente. Rosetta è un film molto fisico, il corpo vi è molto sollecitato. Direi che cerchiamo di essere nelle cose, di essere presenti. Che lo spettatore abbia l'impressione dello spessore del personaggio, della presenza umana. Abbiamo intuizioni, ma ci aspettiamo che le cose prendano forma attraverso il lavoro. Per noi il cinema è materia. Ad un certo punto sentiamo che qualcosa sta prendendo vita.

L.D.: Quando sentiamo che quello che stiamo filmando è l'illustrazione di qualcosa, che stiamo copiando, che stiamo pensando a un altro film, ci fermiamo. Lo capiamo molto velocemente. Anche se alcuni film giocano sulla citazione, molti si girano in corso d’opera e la cosa in sé non è lì. Il film è solo un'eco della cosa. Il nostro obiettivo è dare l'impressione che ciò che filmiamo, ciò che vediamo, stia accadendo nel presente, che quella cosa lì nasca nell’inquadratura. Dare l'impressione che siamo lì per caso.

J-P. D.: E’ per questo che un film non è altro che il risultato di come lo giri...

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(Tradotto dal francese)

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