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Luc & Jean-Pierre Dardenne • Registi

...All’uno e all’altro

di 

- In uscita al cinema in Belgio questo 14 settembre, sesto lungometraggio per i due fratelli

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intervista: Luc & Jean-Pierre Dardenne
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, i fratelli Dardenne, sorridenti, si trovano d’accordo (quasi...) su tutto, a turno rispondono alle domande con la stessa sicurezza che contraddistingue la loro opera

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, sentivate il peso del successo di Rosetta. È accaduto di nuovo con L’Enfant oppure il riconoscimento de Le Fils ve ne aveva liberato ? e, soprattutto, ora che sicuramente starete preparando un nuovo film, portate con voi il fardello del successo de L’Enfant ?

Luc Dardenne : (risate) "È dura scorazzare con un bambino per tutta l’estate", cantava Léo Ferré ! Quel che è certo è che aver vinto questo riconoscimento a Cannes, sia la prima volta, sia quest’anno, ha giocato un ruolo in questo. Ma, via, credo che vivere in uno stato di tensione sia il nostro modo di affrontare le cose. Forse talvolta esageriamo anche un pò. L’importante è tentare di non farsi condizionare troppo. Credo che lo stesso atto del parlare del film, come stiamo facendo con voi, e sicuramente come faremo con la stampa fino a fine novembre, ci permette di 'svuotarci' del film, del premio, di tutto, e saremo pronti a ricominciare. Truffaut era solito dire : "è più facile per un regista gestire un fiasco che un successo". È vero. Talvolta il successo può rammollirti, può farti impantanare nel conformismo mentre ti convinci che 'tutto va bene' e, nello stesso tempo, può paralizzarti: "voglio fare delle altre cose, ma saranno altrettanto belle ?". Si tratta di falsi problemi, bisogna liberarsi di tutto questo. Spero che ci riusciremo !

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Grazie a queste due palme d’oro, siete divenuti in qualche modo gli araldi del cinema belga, fatto piuttosto lusinghiero per i poteri costituiti ma, anche dopo Rosetta, per finanziare i vostri film avete comunque dovuto cercare co-produzioni con la Francia. Non è un paradosso?
Jean-Pierre Dardenne : È un po’ il destino di tutte le cinematografie dei piccoli paesi. Ed il nostro non è certamente grande, oltre ad essere culturalmente diviso in due, se non in tre alle volte. In fin dei conti, non conta che quattro milioni di abitanti. In proporzione, quindi, i mezzi di finanziamento sono un po’ meno importanti rispetto alla Francia. La sorte di registi come noi, provenienti da piccoli paesi, è quella di trovare partner all’estero, ma direi che, allo stesso tempo, è anche un punto di forza.
Luc Dardenne: È l’Europa !
Jean-Pierre Dardenne : È un punto di forza la possibilità di farlo, o piuttosto il dover – la possibilità è un’altra cosa – andare a cercare dei partner all’esterno, naturalmente a condizione che questi soci non divengano delle gabbie che ci imprigionino. Cosa che non ci è mai capitata, devo dire. Nessuno dei nostri partner, sin dai tempi di La Promesse ci ha mai imposto location o attori. Che ci siano degli equilibri per quanto concerne la squadra tecnica, ci va più che bene dato che abbiamo degli amici tecnici che lavorano in Francia e che sono di nazionalità francese. Ma al di là di questo, non ci è stato mai imposto nulla e credo sia fantastico. Spero che continuerà così, né attori, né location. Questo è essenziale.

Tutta la vostra carriera di autori-registi vi ha visto insieme. Pensate mai che l’uno o l’altro possa decidere un giorno di tentare un assolo ?
Luc Dardenne : Non credo, no. Sono trent’anni che lavoriamo insieme. Prima con i nostri ritratti, i reportages, i documentari, poi con i nostri film. Da quando abbiamo incontrato (Armand) Gatty, nel ’73, non ci siamo mai separati.

Dei vostri film si può dire che qualcuno appartenga ad uno più che all’altro?
Luc Dardenne : Non ho questa sensazione. Rispetto ad un film, penso che senza mio fratello non lo farei e credo che per lui sia lo stesso.
Jean-Pierre Dardenne : Niente affatto, credo che da solo sarei molto meglio! lo crede anche lui, ma non ha il coraggio di dirlo, aspetta che io mi allontani!
Luc Dardenne : (scoppi di risa)

La regia a due non è poi così frequente...
Luc Dardenne : Sì, ma noi abbiamo sempre fatto le stesse cose. In genere, quando l’uno si dedica esclusivamente ad una cosa e l’altro ad un'altra, si può arrivare ad un punto in cui, uno dei due può dire: "Voglio vedere se posso fare io stesso quello che fai tu, e che io non ho mai potuto fare in un film". Ma noi facciamo tutto indistintamente. Per questo non ho frustrazioni. L’unica cosa in cui non ci siamo mai cimentati è la recitazione...
Jean-Pierre Dardenne : Forse la prossima volta...
Luc Dardenne : lui ha studiato teatro, potrebbe recitare, ma dice che sono io che non voglio ! sostiene che vado dicendo che è un cattivo attore, ma non è vero!
Jean-Pierre Dardenne : (risate)

Un’altra etichetta con cui vi si definisce spesso è quella del ‘cinema del sociale’. Vero è che, ancora una volta, l’ambientazione di L’Enfant ha una forte connotazione ‘sociale’, ma, in sintesi, non sarebbe più la sopravvivenza il vero leitmotif delle vostre opere ed il thriller il genere che più vi si addice ? e questo vale in particolare per il vostro ultimo lavoro.
Jean-Pierre Dardenne : In realtà, ecco un’altra etichetta, anche se mi piace di più ! lo diciamo spesso come fosse uno scherzo ma alla fin fine c’è del vero. Siccome scegliamo personaggi che vivono a margine della società, si chiama in causa il cinema del sociale, ma ciò che spinge Bruno(Jérémie Rénier) a fare ciò che fa non è il bisogno, non ragioni economiche, non è, come potrebbe essere il caso in latri luoghi, il solo modo che ha per sopravvivere. Se avessimo scelto personaggi di estrazione borghese, si sarebbe parlato di ‘dramma psicologico’, perché i borghesi, e solo loro, hanno una psicologia(risate)! Allo stesso tempo, certo, non si può negare che questa scelta stabilisca un certo modo di guardare il mondo e la società di oggi.

Come stabilite questo legame con la ‘marginalità’ che mostrate nei vostri film? In L’Enfant, si ricava l’impressione di un realismo quasi clinico, quando assistiamo ai colpi e ai traffici di quest’umanità disadattata. Come studiate questo ambiente?
Luc Dardenne : Non lo studiamo...(riflette) direi che abbiamo la capacità che dovrebbero avere tutti coloro che raccontano delle storie che non hanno vissuto, mettersi nei panni di altre persone, immaginarle, leggendo i fatti di cronaca, le minute di certi processi, dei romanzi o guardando servizi in televisione. O anche vivendo la verità dei rapporti con queste persone…non abbiamo mai incontrato Bruno, ma abbiamo conosciuto persone che troviamo un pò…come dire? diverse, amplificate. Abbiamo conosciuto uomini che ritroviamo in La Promesse, Rosetta,... questo è sicuro. Credo sia così anche per il cinema, sebbene io parli per noi perché certo non ci sono leggi universali. Il nostro cinema è segnato dal fatto che noi viviamo anche nella realtà e non in un universo isolato fatto di cinema.

Rifiutate il suo microcosmo.
Luc Dardenne : Ecco. Produciamo documentari, questo ci obbliga in ogni caso ad interessarci di cosa succede qua o là…e poi nella vita privata, non viviamo in una campana di vetro dove si parla solo di cinema e si vedono solo film. È chiaro che si tratta anche di vedere film, ma occorre guardarli in rapporto alla realtà. Dare corsi, stringere rapporti con altri registi di documentari, vedere le loro immagini,…un cineasta indipendente americano che ha conosciuto la Hollywood degli anni ’70, stile Robert Wise, ha detto: "la cosa di cui dovevo assolutamente diffidare era una specie di lusso, di agio di vivere, di trovare dei mezzi, degli attori, che in fine mi intorpidiva. Mi avvolgeva isolandomi in una bolla d’aria". È per questo che bisogna diffidare del mondo del cinema.

Il tema della paternità qui è affrontato direttamente. Era già presente in tutti i vostri film, sin dai tempi di Je Pense à Vous, in modo più o meno esplicito, il fatto che voi siate fratelli dello stesso padre vi offre un punto di vista più completo rispetto ad un cineasta che lavora da solo?
Jean-Pierre Dardenne : (a voce bassa) Non credo. Anche nei film di Kazan ricorre questo tema. Shakespeare non aveva fratelli e ciononostante...Pialat, Faulkner...
Luc Dardenne : (a voce bassa) Forse teniamo a questo argomento in modo particolare... è certo che il lavoro di due fratelli che fanno film insieme è indubbiamente legato al loro rapporto con la famiglia.

Questo argomento potrebbe trovare il suo culmine nel vostro progetto sulla vita di Gesù? Trattereste il personaggio in rapporto col padre, piuttosto celebre?
Luc Dardenne : (risate) Ma quale? Il falegname ?

Entrambi !
Luc Dardenne : (risate) No, quando parliamo della vita di Gesù, intendiamo l’idea di rifarci alla storia della sua vita, e non quella raccontata dagli evangelisti. La vita di un ragazzo di vent’anni, venticinque, trenta. Non si è mosso molto, è anche questo che ci interessa. Si è spostato in due, tre città sino a Gerusalemme, dove è morto. Quello che ci interessa è piuttosto la vita quotidiana di quest’uomo, ma bisogna vedere, conoscere tutte le tracce esistenti, tutti i commentari realizzati e capire come fare per ricostruire una vita. Un’esistenza semplice, di un uomo che parla, che si oppone che si arrabbia, e anche molto! Non credo che ci occuperemo della passione. Perché quella è storia, come abbiamo trasformato un individuo in figlio di Dio ed in religione costituita, contro il giudaismo... bisognerebbe fermarsi al momento in cui è condannato, ma la passione è una cosa che, forse, non si dovrebbe fare. Non servirebbe a nulla.

È stato già fatto !
Luc Dardenne : Eh sì è stato già fatto! (scoppi di risa) e mio fratello ha una storiella carina a riguardo!
Jean-Pierre Dardenne : Stamattina ero su una terrazza a parlare con una persona, quando ad un certo punto si è avvicinato un tizio ed ha domandato chi fossi al mio interlocutore, che ha risposto: "la passione". (sorride) al che l’altro tizio ha risposto: "Accidenti, beh, bravo è stato formidabile!" ! (entrambi ridono)

Versione rimaneggiata con la cortese autorizzazione dell’autore

Si puó visualizzare l'intervista cliccando su www.cinergie.be

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