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Joachim Lafosse • Regista

"Vorrei che il mio film facesse riflettere"

di 

- Cinergie ha incontrato il trentaquattrenne regista belga selezionato con Elève Libre alla Quinzaine des réalisateurs cannense 2008

Cinergie.be: Joachim, nei suoi film precedenti, Tribu, Folie Privée e Proprietà privata [+leggi anche:
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, ciò che lei sottolineava era l'assenza di uno o di entrambi i genitori o, al contrario, il loro amore eccessivo che creava uno squilibrio familiare. In Elève Libre [+leggi anche:
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intervista: Joachim Lafosse
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, lo squilibrio non è più provocato dalla famiglia, ma da una persona esterna che ha anche il ruolo di educatore...

Joachim Lafosse: Sì, la famiglia trasmette la capacità di emanciparsi e di vivere da soli. In questo caso, racconto la storia di un adolescente che non riesce a distinguere l'apprendimento dalla trasgressione. Ho voluto parlare di questa frontiera fluida che esiste tra le due cose nell'educazione impartita da un professore, la cui autorevolezza ed esperienza sono riconosciute, il quale incontra un adolescente. Egli vuole trasmettergli delle verità, l'adolescente è per forza di cose curioso e, in questo rapporto, la questione che si pone è quella dei limiti, che l'uno e l'altro dovrebbero porsi. Per l'adolescente è difficile farlo, non ha riferimenti. Starebbe quindi all'adulto fissare dei limiti, ma non lo fa. Cerco di far riflettere lo spettatore affinché sia lui a stabilire fin dove si può arrivare. Un'altra questione del film è se si può imparare tutto. La sessualità, la si apprende, la si insegna?

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Ha detto che in questo film vorrebbe andare incontro ai giovani. Vuole creare un dibattito?
Sì, ma questo vale per ogni film. Amo parlare di un film dopo la sua uscita. Non serve solo a divertire, ci si può divertire e riflettere allo stesso tempo. Cerco di fare entrambe le cose. Questo film sui limiti non si rivolge a tutti, penso che bisogna avere quindici anni per vederlo, discuterne, prenderlo nel modo giusto e farlo proprio. Quindi mi piacerebbe molto poterne discutere con gli adolescenti. Non sono un pedagogo, sono un regista. Ma vorrei che la mia opera facesse riflettere. La cosa che più mi interessa è stimolare la soggettività dello spettatore, affinché si renda conto di non essere soltanto un consumatore, ma anche una persona che pensa e che può avere un'opinione. Fare appello alla soggettività dello spettatore significa che deve prendere una posizione. Quando gli si pone una domanda e non gli si dà una risposta, lo spettatore è smarrito. Lo stesso vale per Jonas nel film. Tutti vorrebbero una verità. E' difficile avere un'opinione su una storia come quella di Elève Libre, ma preferisco la complessità alla semplicità.

Tutti i personaggi sono molto vicini, fisicamente parlando.
Sì, e questo è dovuto alla focale lunga. Fare un film significa fare delle scelte. Non ci si rende conto di tutte scelte che un regista deve fare. Tutto ciò che è inquadratura, pulizia, il rapporto con il suono... Tutte queste scelte fanno la grammatica del cinema. Il caso non esiste nel cinema, tutto è pensato affinché sia bello. Ho scelto lo Scope per le scene a tavola, che danno una visione ampia grazie alla quale tutti i personaggi sono sullo stesso piano: questo evita il campo/controcampo. Ho imparato molto su quello che puoi fare con gli strumenti del cinema. E questo è senza dubbio il film in cui ho imparato di più.

Per vedere un ritratto di Joachim Lafosse realizzato da Cinergie.be, clicca qui

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