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Le sfide della digitalizzazione in Europa al centro della conferenza di Barcellona

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- La transizione al digitale è ancora oggi il tema più scottante per l’industria del cinema

Al corso organizzato a Helsinki da MEDIA Salles lo scorso febbraio, Michael Karagosian – l’esperto che ha accompagnato l’associazione degli esercenti statunitensi nell’approccio al digitale - ha scelto questo titolo per il suo intervento: “11 anni di cinema digitale e stiamo ancora parlando della fase di lancio”. Risale infatti al 1999 quella che viene considerata la prima proiezione digitale commerciale: un decennio più tardi gli schermi che hanno adottato la nuova tecnologia erano diventati circa 9.000*. Ci si può chiedere se siano tanti o pochi, ma ciò che è assolutamente fuori discussione è che la transizione al digitale sia oggi il tema più scottante per l’industria del cinema. Ad esso è stata dedicata la conferenza voluta dal Governo Spagnolo a cui tocca attualmente il semestre di presidenza dell’Unione.

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La Spagna invita l’Europa a una riflessione su nuove tecnologie e indipendenza delle sale.
A Barcellona per due giorni si è parlato di digitalizzazione, con un taglio specifico: l’impatto che essa potrà avere sul settore dell’esercizio indipendente. I circa 200 invitati – funzionari delle istituzioni pubbliche competenti in materia di cinema ed esperti provenienti dal mondo professionale – si sono interrogati in particolare sui modelli economici – già sperimentati o in via di studio – che potrebbero finanziare la transizione, superando il paradosso che è alla base di questa rivoluzione: la promessa di risparmi sul fronte della distribuzione, la necessità di investimenti da parte dell’esercizio.

Può bastare il VPF a finanziare la digitalizzazione dei cinema d’Europa?
Riflettori puntati dunque sul VPF, considerato nel documento preparatorio, redatto dal “Think Tank on European Film and Film Policy”, come l’unico meccanismo praticabile in un’ottica puramente commerciale per trasferire risorse dalla distribuzione all’esercizio, qualora gli esercenti non scelgano di convertire le attrezzature di proiezione a loro spese. Meccanismo peraltro non privo di “effetti indesiderati” soprattutto in un contesto come quello europeo, caratterizzato da una moltitudine di imprese di esercizio in buona misura piccole o medio-piccole talora restie ad accettare che nella tradizionale dinamica distributore/esercizio entri un terzo soggetto, ovvero l’intermediario finanziario che da una parte anticipa il denaro per l’acquisto delle attrezzature e dall’altra lo recupera col VPF, cioè col contributo dei distributori.
Ma anche qualora si superassero le obiezioni nei confronti dell’intermediario – figura che si è resa necessaria dal momento che gli studios, pur disposti a cofinanziare la transizione, hanno posto come condizione che questo contributo – a fini speciali e di durata prefissata - non si confondesse o sovrapponesse in nessun modo con il canone di noleggio, un’altra questione cruciale resta aperta in Europa: quanti schermi resterebbero tagliati fuori dal VPF “classico”? Il Think Tank stima una forchetta piuttosto ampia: dai 6.000 ai 14.000 schermi (su un totale di circa 30.000). Aggiunge pure che il modello VPF, il cui ammontare è calcolato sulle consolidate dinamiche distributive dei film in 35mm, perpetuerebbe le logiche proprie del mercato basato sulla pellicola, negando o perlomeno ritardando in maniera considerevole i benefici che la digitalizzazione promette. Da una parte infatti i distributori non risparmieranno sino a quando non avranno finito di pagare il VPF, dall’altra gli esercenti non beneficeranno pienamente della flessibilità della programmazione sino a quando non saranno diventati i proprietari delle attrezzature (che per la durata dell’accordo VPF appartengono all’organismo finanziatore).

Gli intermediari attivi in Europa affermano di poter digitalizzare oltre l’80% degli schermi
A sostenere la validità del VPF sono – ovviamente – le società che in Europa si sono proposte come intermediari: XDC (che ha firmato sinora accordi per digitalizzare oltre 700 schermi), AAM (poco meno di 500), Ymagis (quasi 200). Jean Mizrahi, amministratore delegato di Ymagis, ritiene che con il VPF si riesca a convertire l’80% o addirittura il 90% degli schermi del Vecchio Continente.
“Di conseguenza – ha affermato - non c’è bisogno che lo Stato si sostituisca ai privati. Spero che l’Unione Europea faccia chiarezza su questa situazione”.
Perché gli intermediari possano svolgere il loro ruolo è peraltro fondamentale che ci sia accesso al credito bancario. A dar loro una mano, nell’attuale situazione di crisi finanziaria, sembra disposta la BEI: “Possiamo assistere chi si rivolge a noi con un piano economico. Ma non spetta a noi individuare modelli”, ha affermato Patrick Vanhoudt.

Quali prospettive dal settore pubblico?
Che la pura trasposizione del VPF, soprattutto se “all’americana”, non sia praticabile – e addirittura non auspicabile - lo pensano in molti in Europa. Per ragioni oggettive, da una parte: così come l’esercizio, è frammentata – forse in misura ancora maggiore – la distribuzione europea. E il VPF tanto più funziona quanto più include schermi e contenuti. Non a caso gli accordi standard negli USA richiedono che si digitalizzino tutti gli schermi di un complesso e riguardano i film delle majors che controllano oltre il 90% del mercato. E poi è diffusa la preoccupazione che le sale sia tanto più compatibili col VPF quanto più orientate ai film di Hollywood, a discapito delle produzioni nazionali ed europee.
Se poi si aggiunge che in Europa le sale sono considerate importanti non solo per la loro valenza economica, ma anche per il ruolo sociale e culturale che rivestono nella società e sul territorio, si capisce perché sono molte le istituzioni che paventano che la proiezione digitale, invece che una chance in più per il settore cinematografico, diventi uno spartiacque tecnologico, che separerà chi la nuova tecnologia può permettersela e chi no.

A breve il primo schema del Programma MEDIA per il finanziamento dell’attrezzatura digitale.
A Barcellona la Commissione Europea, co-promotrice della Conferenza – ha confermato che il Programma MEDIA interverrà a sostegno della digitalizzazione in funzione della salvaguardia della diversità culturale e della tutela delle sale che sarebbero “a rischio” in un’ottica puramente commerciale. Lo ha annunciato Odile Quentin, a nome della DG Cultura della Commissione Europea, nel cui alveo è appena tornato il Programma MEDIA dopo una non breve permanenza nell’ambito della Società dell’Informazione, lo ha ribadito Aviva Silver, capo del Programma MEDIA, che ha illustrato i risultati della consultazione pubblica lanciata il 16 ottobre 2009, lo ha spiegato Hughes Becquart che ha tracciato il calendario dell’azione comunitaria. A breve partirà lo studio che consentirà di stabilire le cifre forfettarie che le sale - a seconda delle loro caratteristiche, della loro ubicazione e dell’attrezzatura a loro adatta – potranno ricevere da Bruxelles se saranno selezionate sulla base di un bando il cui lancio è previsto alla fine dell’estate 2010. Quattro milioni di euro la dotazione finanziaria per il primo anno: a qualcuno potranno sembrare pochi se si considera che la stima del costo della digitalizzazione di uno schermo si aggira sui 70.000/100.000 euro, ma certo c’è da registrare che per la prima volta il sostegno del Programma MEDIA alla circolazione dei film europei include anche un finanziamento per l’attrezzatura con l’obiettivo di assicurare un’adeguata presenza delle produzioni del Vecchio Continente anche nelle sale digitali.

A livello nazionale una varietà di situazioni e politiche di intervento.
La Conferenza di Barcellona ha offerto uno spazio di confronto sulle iniziative adottate in vari paesi europei in tema di digitalizzazione del cinema.
Dopo l’intervento pionieristico del Regno Unito, dove il denaro della Lotteria e il disegno dello UK Film Council, mirato ad incrementare l’offerta di prodotti “non mainstream” sull’insieme del territorio britannico, ha portato alla digitalizzazione di 240 schermi – assai diversificati per tipologia e posizionamento - noti col nome di Digital Screen Network, il piano norvegese risulta quello più organico, seppur meno trasferibile ad altre realtà. La Norvegia – dove la stragrande maggioranza delle sale è infatti di proprietà municipale – ha scelto una via al digitale che includa la totalità degli schermi. Per questo ha elaborato una formula originale di VPF misto, che vede non solo la partecipazione dei distributori (è stata condotta una trattativa direttamente con le majors) e degli esercenti, ma anche quello dell’istituzione pubblica, basato in larga parte sull’utilizzo della tassa di scopo applicata alle attività cinematografiche.
“Non uno di meno” è il principio che ispira pure la Finlandia, dove l’intervento del Ministero della Cultura si è diretto alla digitalizzazione sia degli schermi (una cinquantina, cioè circa il 15% del parco nazionale, nella prima fase già completata) sia dell’insieme della filiera cinematografica. Praticamente la totalità della produzione nazionale è infatti regolarmente disponibile in versione digitale in un paese che vede nella cultura abbinata alla tecnologia più avanzata un fattore di sviluppo economico e sociale.
Un piano complessivo – basato sul concetto mutualistico – era anche quello ideato dal CNC in Francia. Bocciato dall’Autorità nazionale competente in materia di concorrenza, il programma sarà probabilmente convertito in uno schema selettivo, mirato alle sale che più difficilmente avrebbero accesso ai modelli puramente commerciali. “È chiaro che è ormai necessario agire con rapidità. Tutti, dopo aver mantenuto una posizione attendista, a partire dall’uscita di Avatar hanno una gran fretta” – ha affermato Lionel Bertinet del CNC - “Anche noi cercheremo di agire velocemente, in due modi: con l’aiuto diretto alle sale e con la legislazione. L’obiettivo è includere la distribuzione nel finanziamento della conversione al digitale così come garantire trasparenza al settore e libero accesso ai prodotti”.
Un particolare interesse ha suscitato a Barcellona il piano messo a punto dall’Italia – uno dei paesi europei col parco sale più esteso - per agevolare la digitalizzazione degli schermi attraverso la misura del credito di imposta.

Il dinamismo delle regioni può avvalersi dell’aiuto comunitario.
Un esempio felice di intervento regionale è stato portato alla Conferenza da Marta Materska-Samek che ha presentato la rete di cinema digitali della Malopolska, l’area che da Cracovia si estende a sud verso la Slovacchia. Questo progetto si è aggiudicato il sostegno del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, un salvadanaio decisamente ricco, a cui però aspira una varietà di progetti assai ampia. Come ha spiegato Pierre Godin, a nome della DG Politiche Regionali della Commissione Europea, il Fondo non può finanziare il puro e semplice acquisto di proiettori digitali. Può però sostenere progetti di sviluppo del territorio – per esempio di rigenerazione urbana - che nei cinema abbiano il loro fulcro.

Informazione e formazione per accompagnare la transizione al digitale:
Di fronte alla complessità delle sfide poste dalla digitalizzazione – emerse sia dagli interventi dei relatori sia dalle domande e dalle osservazioni affidate dai partecipanti ai pc che consentivano un dibattito “virtuale” – particolarmente avvertita è stata l’esigenza di iniziative di formazione. Se qualcosa infatti appare chiaro a tutti è che la digitalizzazione è un fenomeno molto più complesso che la mera sostituzione di apparecchiature. Più che competenze essenzialmente tecniche servono dunque una nuova mentalità e un modo nuovo di fare e di proporre il cinema.

*Le statistiche di MEDIA Salles al 1°.1.2009 rilevano 8.728 schermi dotati di tecnologia DLP Cinema o SXRD in tutto il mondo.

La versione integrale di questo articolo è stata pubblicata nel “Giornale dello Spettacolo” n. 8, del 23 aprile 2010

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