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Hans-Christian Schmid • Regista

“Ciò che possiamo fare è creare consapevolezza nel pubblico”

di 

- Il regista tedesco era presente alla conferenza stampa di Storm, in concorso alla Berlinale 2009. Quelli che seguono sono gli estratti di dichiarazioni che svelano un regista impegnato

Insieme allo sceneggiatore Bernd Lange, alle attrici Kerry Fox e Anamaria Marinca nonché all’attore Rolf Lassgård, il regista tedesco Hans-Christian Schmid era presente alla conferenza stampa del suo ultimo film Storm [+leggi anche:
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, in concorso alla 59esima edizione della Berlinale. Quelli che seguono sono gli estratti di dichiarazioni che svelano un regista impegnato.

Quanto è stato importante per lei fare questo film?
Hans-Christian Schmid: Credo che il film che si fa in un determinato momento è molto importante, lo è sempre. Lange ed io abbiamo parlato molto e fatto ricerche sull’argomento. Di base erano essenzialmente due le tematiche con cui dovevamo avere a che fare e non ne sapevamo molto. Ossia, uno l’ex-Yugoslavia e poi fondamentalmente il fatto di spostare l’attenzione da questa perché hai una storia da raccontare quindi inizi a narrare la storia e cerchi di dare vita ai personaggi. Ovviamente questi due aspetti sono stati importanti per me.

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In alcune riprese ha utilizzato una macchina da presa portatile. Per quale motivo?
L’intero film è stato girato con una macchina da presa portatile. Io è il mio collega in verità siamo una buona squadra e ci piace lavorare in questo modo. È un bel modo di reagire a ciò che gli attori stanno facendo. È il loro lavoro, che è al centro del mio, è il fulcro della mia attenzione. È per questo che ho voluto dar loro lo spazio per muoversi come volevano.

Che cosa l’ha spinta a fare un lungometraggio piuttosto che un documentario?
Ci sono cose che non si possono veramente fare in un documentario. La cinepresa non è concepita per riprendere immagini in sequenza. Questa è la problema. Se hai un argomento tra le mani e se senti che forse la cinepresa non è sufficientemente adatta, diciamo per catturare le immagini che hai in testa, per esempio l’ICTY (il Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Yugoslavia), allora si deve fare diversamente.

L’ICTY chiuderà entro la fine del 2010. Come si spiega che l’industria cinematografica abbia impiegato così tanto tempo ad occuparsi di questo argomento? Qual è il messaggio trasmesso da questo film sul lavoro del tribunale?
Non so perché ci sia voluto così tanto. Credo semplicemente si tratti di un argomento complesso. Ritengo anche che forse ciò che sta avvenendo all’Aia non sia a prima vista un argomento su cui la gente riterrebbe conveniente fare un film. Forse le persone sono scoraggiate e dicono: oh magari questo processo sarà molto complicato. Credo che la cosa importante sia vedere come lavora l’ICTY e ciò che vorremmo criticare è semplicemente la pressione temporale. È una strategia delle Nazioni Unite che vuole che l’ICTY chiuda. Ci siamo resi conto che ci sono diversi partiti con interessi divergenti. A questo si aggiunge il fatto che nessuno, né l’accusa né la difesa, vuole lavorare sotto pressione. Ci sono alcune questioni che restano in sospeso e questo è ciò che avevamo in mente e speriamo che questo tribunale non chiuda né ne 2010 né nel 2011. Forse ciò che possiamo fare con il nostro film è creare consapevolezza nel pubblico e far si che diminuisca la pressione del tempo sui testimoni.

Dopo questo film crede ancora nella giustizia?
Vale la pena lavorarci per avvicinarcisi il più possibile.

Crede che la Germania sia diventato un paese con una propria cinematografia?
Domanda difficile, credo che ci siano molti buoni film tedeschi e ritengo e spero che avranno un effetto sulla nostra industria, ma non ne sono sicuro ovviamente

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