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Valeria Sarmiento • Regista

"Non ho avuto l’ambizione di girare il film alla maniera di Raul"

di 

- La regista cilena ha ripreso il progetto Lines of Wellington dopo la morte del marito, Raoul Ruiz

Cineuropa ha incontrato la regista Valeria Sarmiento in occasione della Mostra di Venezia, dove si trova per presentare Lines of Wellington [+leggi anche:
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intervista: Valeria Sarmiento
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, un progetto al quale lavorava suo marito, Raul Ruiz, al momento della sua scomparsa ad agosto 2011.

Cineuropa: A che punto era il progetto quando ha ripreso il lavoro fatto da Raul Ruiz?
Valeria Sarmiento: Raul aveva ricevuto la sceneggiatura da Carlos Saboga e aveva suggerito e annotato tre piccoli cambiamenti. Aveva inoltre fatto delle raccomandazioni a proposito del tipo di colonna sonora che voleva fare comporre ai musicisti. Nel frattempo, siamo andati a Lisbona per controllare qualche location e ne ha approfittato per scegliere una parte degli attori. Si è ammalato subito dopo e non ha potuto fare altro.

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Si è auto-imposta di rispettare il suo stile per la realizzazione del film, vietandosi cose che lui non avrebbe mai fatto?
Abbiamo vissuto 40 anni insieme e ho contribuito al montaggio di due terzi dei suoi film. Ho quindi familiarità con il suo stile, ma non ho avuto l’ambizione di girare il film alla maniera di Raul. Ho tenuto in considerazione il suo lavoro preparatorio, compresi i cambiamenti che aveva chiesto e la colonna sonora che aveva scelto, ma a parte questo, ho fatto il film a modo mio.

E ha utilizzato gli attori scelti in precedenza?
Effettivamente c’erano attori che erano stati scelti da Raul. Li ho mantenuti, ma non necessariamente negli stessi ruoli. Abbiamo rifatto un cast al quale abbiamo aggiunto gli attori fedelissimi di Raul che volevano rendergli omaggio con la loro presenza nel film. Abbiamo pensato molto a lui durante le riprese.

In quanto cilena, in che modo la storia dell’invasione del Portogallo l’ha toccata personalmente?
Per me, si tratta di un episodio storico molto lontano. Ho quindi cercato di legare assieme quegli aspetti che potessero suscitare in me maggiori emozioni, come il ruolo delle donne o la mia esperienza e quella dei miei conoscenti ai tempi della dittatura di Pinochet in Cile. Ma oltre al vincolo personale, ho voluto che il film fosse una riflessione più generale e politica. È importante ricordarsi che l’Europa è stata costruita su milioni di cadaveri e, in tempi di crisi come quello presente, fare un film come questo significa fare un film politico.

In questa storia di resistenza, il pittore interpretato da Vincent Perez è un artista che non è libero di svolgere il lavoro come vuole. Può esserci in questo caso una relazione con la situazione dell’industria cinematografica attuale in Portogallo?
Non è facile al momento fare film in Portogallo, e abbiamo conosciuto la stessa realtà in America Latina. Questo pittore rappresenta un artista con una visione personale che si scontra con un sistema che pone dei limiti. Ma la storia di questo pittore svizzero, Henri Lévêque, è veritiera. Gli è stato chiesto di dipingere paesaggi prima dell’arrivo delle truppe per far conoscere il territorio. Faceva sopralluoghi. La costumista di produzione Isabel Branco ha tratto ispirazione da questi quadri per la parte artistica della pellicola e per i costumi. Ha riprodotto la tavolozza di colori usata dal pittore.

Il film è finanziato per un 75% dalla Francia, eppure le truppe francesi non sono descritte in modo molto lusinghiero nel film. Ciò ha causato problemi?
No, anzi. Questo episodio è stato completamente dimenticato dai francesi, che piuttosto si ricordano delle sconfitte in Spagna o in Russia. La ritirata portoghese non è nemmeno contemplata nei libri, e i francesi che hanno visto il film l’hanno trovato piuttosto istruttivo. Non hanno reagito negativamente alla crudeltà e brutalità dell’esercito francese così come mostrato sullo schermo.

La versione televisiva sarà più lunga. Che cosa ha tralasciato nel montaggio cinematografico per ridurlo?
In televisione saranno trasmessi 3 episodi da 55 minuti ciascuno. Saranno proposti per la prima volta in assoluto al Festival di San Sebastián. L’architettura del film assomiglia a quella dei racconti di Mille e una notte. Ho semplicemente tolto due storie per abbreviare l’insieme. È abbastanza facile con un film come questo.

Qual è, secondo Lei, la lezione più importante che suo marito le ha dato e che si è rivelata essere la più utile per questo film?
Raul spesso mi diceva che bisogna sempre girare senza lasciare molte libertà al montaggio. Mi ha aiutato molto nella realizzazione di questo film e, in quanto montatrice, ho girato solo il necessario. A una settimana dalle fine delle riprese avevamo in mano la prima versione, che non ha subito molti cambiamenti. Raul lavorava così. Una specie di genio che ha realizzato 50 film e che ha sempre avuto bene a mente il tipo di montaggio una volta lasciato il set.

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