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Nabil Ben Yadir • Regista

"La Francia non ha saputo accettare la mano tesa prima che si trasformasse in pugno alzato"

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- Dopo Les Barons, successo inaspettato al box-office belga nel 2010, Nabil Ben Yadir torna con The Marchers, ambizioso film storico sulla marcia dei Beurs.

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, mi ha presentato la mia co-sceneggiatrice, Nadia Lakhdar, che teneva questo progetto in un cassetto. Quando ho scoperto la storia, che conoscevo solo in parte, mi sono fatto trascinare dal soggetto, questa marcia apolitica, venuta dalle banlieue, ispirata alla marcia non violenta di Gandhi…

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Come concedersi un po' di libertà narrativa quando si racconta una storia vera?
Ci si appoggia alla grande Storia: le città, le fiaccolate, il ritorno a Lione, la morte di Habib Grimzi, tutte queste immagini ci riportano alla realtà… Ma alla partanza da Marsiglia, erano in 32, e ovviamente non si poteva fare un film con 32 personaggi. Abbiamo quindi costruito dieci personaggi intorno ai quali abbiamo tessuto delle piccole storie.

Si ritrovano tematiche comuni in Les Barons e The Marchers.
Entrambi i film parlano di amicizia, e condividono tematiche di fondo. Ma Les Barons rimangono in loco, mentre i marciatori attraversano la Francia.

Di fatto, dell'ottimismo del film, o almeno di quello dei personaggi, non resta molto trent'anni dopo.
La fine della storia è la visita piena di speranza dei protagonisti all'Eliseo, ma non potevamo fermarci lì. Per questo ho voluto fare un film: sono super felici di incontrare Mitterrand per cambiare le cose, ma trent'anni dopo dove siamo? Quando vediamo il Fronte Nazionale, i crimini razzisti, quello che succede nel 2013… E' anche per questo che il film va al di là di noi, regista, attori o tecnici.

Il protagonista si chiede se nel 2000 ci saranno più Tony Montana (il violento protagonista di Scarface, ndr) o più Gandhi: lei che cosa pensa?
Immagino che ognuno abbia la propria risposta, anche se ovviamente i Gandhi sono una specie rara… E' quello che prevede il personaggio di Lubna Azabal nel film: la Francia deve accettare la mano tesa prima che si trasformi in pugno alzato. E a mio avviso, francamente, la Francia non è riuscita a cogliere questa occasione. Ma è una questione di punto di vista, e di umore. Alcuni vedono più facilmente i pugni alzati che non le mani tese, e viceversa.

La situazione è diversa in Belgio?
Ci sono punti in comune, anche se ogni paese ha la sua storia. Il rapporto con le banlieue in Francia non è molto lontano dal rapporto con i quartieri popolari in Belgio. All'epoca, i giovani avevano un messaggio naif e astratto, volevano una marcia per l'uguaglianza. Chiedevano solo di essere considerati come francesi. Oggi, chi si considera belga in quei quartieri? Che cosa gli resta per definirsi belgi? Certi politici hanno fallito.

Uno dei personaggi dice: "Il mio paese è la Francia". Lo potremmo ancora sentir dire oggi?
Era il 1983. L’idea era di ravvivare l'orgoglio del paese cui questi giovani appartenevano. Ma proprio parlando a questi giovani del "paese dove sono nati" o, peggio ancora, del loro "paese d'accoglienza", li si ostracizza. Non si direbbe questo a un francese d’origine, no? Perché esiste una categoria di gente cui ci permettiamo di dirlo? Abbiamo girato nelle banlieue. L’apertura del film è a Clichy-sous-Bois, dove sono nate le rivolte alcuni anni fa. Mi piacerebbe portare lì un turista giapponese e dirgli che siamo a un quarto d'ora da Parigi. E' allucinante il modo in cui le banlieue sono state abbandonate. Così come i giovani del film che non sono mai usciti dalle Minguettes, dalle banlieue non si esce mai.

Quali sono i suoi progetti?
Il mio prossimo film parla di Belgio, di Fiandre e Vallonia: un film nelle due lingue, su padre e figlio, il separatismo. Un film noir.

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