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Roberto Faenza • Regista

Anita B., l'importanza della memoria

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Roberto Faenza • Regista

A pochi giorni dalla commemorazione delle vittime del nazismo nel Giorno della Memoria, il 27 gennaio, arriva nelle sale il nuovo film di Roberto Faenza, Anita B. [+leggi anche:
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, liberamente tratto dal romanzo di Edith Bruck "Quanta stella c'è nel cielo". Il film in realtà racconta una storia del dopo-Olocausto, quella di un'adolescente ungherese sopravvissuta ad Auschwitz, che viene accolta dalla sorella di suo padre, in una cittadina tra le montagne della Cecoslovacchia, nei pressi di Praga. Il film si avvale di un cast internazionale: la protagonista Eline Powell (Quartet [+leggi anche:
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) è affiancata dal giovane irlandese Robert Sheehan, star della serie tv Misfits, Moni Ovadia, Andrea Osvart, Antonio Cupo, Nico Mirallegro e Jane Alexander. Anita B., prodotto da Elda Ferri e Luigi Musini per Jean Vigo e Cinema Undici con Rai Cinema, è stato scelto dal Museo dell'Olocausto Yad Vashem di Gerusalemme per aprire il Giorno della Memoria, ma in Italia esce in appena 20 copie, distribuito dalla Good Films. "Mi sembra offensivo per gli spettatori. Gli esercenti hanno paura di questo film, temono sia un film su Auschwitz e per questo hanno deciso di darci meno sale del previsto, nonostante gli accordi già presi", polemizza il regista. "Gli esercenti sono l'anello terminale di un film, dovrebbero vederli prima di giudicare. Conto sugli insegnanti, che hanno la possibilità di portare i ragazzi al cinema".

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Cineuropa: In realtà il film è ambientato nel dopoguerra.
Roberto Faenza:
Non è il 'solito' film sui campi di concentramento. Vuole raccontare il dopo Auschwitz, che pochi conoscono, il ritorno alla vita normale di una ragazzina e l'importanza della memoria. Vuole quindi compiere un tragitto diverso. Penso che questo film sia il seguito ideale del mio precedente Prendimi l'anima: il viaggio verso il futuro di questa giovane donna, che trova una forma di riscatto dopo l'orrore, ne fa l'erede ideale di Sabine Spielrein, passata dal ruolo di paziente di Jung a quello di analista lei stessa.

Al suo ritorno dal campo di concentramento, Anita scopre che nessuno vuol parlare del passato.
Anita vuole ricordare l'orrore, non può dimenticare i suoi genitori e non comprende chi, come sua zia e molti degli ebrei che incontra nel suo percorso, preferisce stendere un velo di oblio sulla Shoah. Ognuno ha il diritto di superare i propri traumi, ma non posso fare a meno di pensare alla realtà odierna del nostro Paese, che ha perso la memoria persino del passato più recente.

Come ha collaborato l'autrice del romanzo, Edith Bruck?
Edith mi ha consegnato una sua prima sceneggiatura di 500 pagine, dandomi il diritto di tagliare e cambiare. Sono stato fedele alla testimonianza di Edith, che è uscita dai campi con il candore e la gioia di vivere dei 14 anni. Io non sono un conoscitore dell'ebraismo, anzi sono andato a scuola dai Gesuiti, più lontano di così! E' stato Moni Ovadia ad aiutarmi, introducendo nel film lo yiddish e la divisione tra quelli che volevano partire per la Palestina, verso il nascente Stato d'Israele, e quelli che desideravano rimanere o tornare nei Paesi europei dai quali erano stati sradicati.

Il personaggio della compagna di lavoro e amica di Anita è diventata un ragazzo nel film.
I film non nascono in teoria ma nella pratica, anche scegliendo il cast. Non trovavo questa donna descritta da Bruck, e ho cambiato il sesso. Nel libro il 'traghettatore', che organizza l’esodo verso la Palestina, era un uomo, per pareggiare, io ne ho fatto una donna con la pistola alla cintura.

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