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Vibeke Idsøe • Regista

"Prendere in prestito spunti dal passato per affrontare questioni attuali è un valore aggiunto"

di 

- Cineuropa ha incontrato la norvegese Vibeke Idsøe, regista di The Lion Woman, film di apertura alla 44ma edizione del Festival internazionale di Haugesund

Vibeke Idsøe • Regista

The Lion Woman [+leggi anche:
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intervista: Vibeke Idsøe
scheda film
]
, della regista norvegese Vibeke Idsøe,sarà proiettato come film d’apertura alla 44ma edizione del Norwegian International Film Festival Haugesund (leggi la notizia). Questo film, prodotto anche dalla società norvagese Filmkameratene, è già stato venduto a una quarantina di paesi. Vibeke Idsøe si era fatta conoscere nel 1996 con Body Troopers, pluripremiato film d’avventura destinato ai giovanissimi, tratto da un romanzo della Idsøe stessa. A Oslo, in una piovosa giornata primaverile, Cineuropa ha incontrato la cineasta, nel momento in cui si appresta a sistemare gli ultimi dettagli del primo lungometraggio, dopo una pausa durata una decina di anni.

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Cineuropa: Il suo film sarà presto concluso, si sente sollevata?
Vibeke Idsøe:
Temo sempre il momento in cui bisogna mettere la parola fine. Quattro anni della mia vita dedicati a un progetto che mi sta molto a caro, di cui uno speso solamente per trovare i finanziamenti necessari. Mesi di sacrifici e di entusiasmo con la troupe e poi tutto svanisce, anche se la prospettiva di andare a Haugesund mi rende molto felice. Mi sento davvero onorata di questa opportunità che mi è stata data.

The Lion Woman è ispirato al romanzo eponimo dello scrittore norvegese Erik Fosnes Hansen, un successo internazionale.
Esattamente. Ho letto questo romanzo non appena pubblicato, nel 2006, e mi è piaciuta subito questa storia commovente: un essere umano di fronte all’isolamento, alla ricerca di amore e di riconoscimento. Ci si possono trovare dei punti in comune con The Elephant Man di David Lynch.Il bisogno di essere accettati è un tema ricorrente nei miei film. Non è facile tirare fuori una sceneggiatura da un libro di oltre quattrocento pagine. Ho fatto questo lavoro di scrittura insieme all’autore, un amico di lunga data. Abbiamo dovuto compiere scelte drastiche, modificare la struttura del romanzo. Dal punto di vista cronologico, nel film ci sono dei flashback e dei balzi in avanti. Abbiamo anche dovuto riscrivere la fine, è stato necessario. Credo sia un bene che l’autore partecipi al processo di creazione, e Erik è venuto spesso anche durante le riprese a darmi la sua opinione.

Perché un film da questo romanzo?
È una storia dal forte valore attuale, in cui si esprimono emozioni e sentimenti familiari, con dei personaggi in cui ci si può facilmente identificare. Prendiamo, ad esempio, la relazione padre-figlia, uno dei temi del film: cosa vuol dire per un padre avere una figlia apparentemente diversa dagli altri, la cui madre è morta dandola alla luce? Si può capire facilmente questo personaggio, interpretato dall’attore Rolf Lassgård, anche se l’azione si svolge tra il 1912 e il 1936, in un piccolo villaggio della Norvegia, all’inizio della storia. Prendere in prestito spunti dal passato per affrontare questioni attuali è un valore aggiunto. E, in più, questa storia mi ha offerto molte possibilità visive.

Si riferisce all’aspetto fisico della ragazza?
Penso soprattutto alla dimensione spaziale e temporale. Al tempo, innanzitutto, perché una storia che si estende su un quarto di secolo permette di mostrare un’evoluzione. In secondo luogo lo spazio, perché il personaggio principale si sposta, viaggia: seguiamo Eva in Norvegia, a Parigi, in Danimarca, in Germania... L’intreccio si prestava perfettamente a una co-produzione in cui sono coinvolti diversi paesi. Questo ventaglio spazio-temporale, per una cineasta, è motivo di apertura, una ricchezza. Al di là di questo, anche l’aspetto fisico di Eva ha giocato sicuramente un ruolo importante, vivisamente parlando. Per creare le maschere ci siamo rivolti a Conor O’Sullivan, uno specialista britannico del make-up.

Mi viene in mente La bella e la bestia di Jean Cocteau.
Volevo una maschera più leggera, più delicata rispetto a quella di Jean Marais in questo film. Il viso di Eva non scompare completamente dietro i peli. Mantiene un suo sguardo. Volevo che fosse attraente, affascinante agli occhi del giovane che si innamorerà di lei. Non ci si deve impietosire: lei non è una vittima, è una persona piena di risorse e che non si piange addosso. Devo riconoscere che le tre giovani attrici che interpretano Eva a otto, quindici e ventiquattro anni, hanno dato una grande prova di pazienza e subìto di buon grado le due ore quotidiane di trucco. Avendo scritturato delle così giovani artiste abbiamo rigorosamente rispettato la legislazione del lavoro. I tedeschi sono particolarmente scrupolosi a questo riguardo, e ho apprezzato la loro serietà e affidabilità. 

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(Tradotto dal francese)

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