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Dagur Kàri • Regista

Un prodigio islandese

di 

- A 29 anni, il regista ha fatto centro con Nói Albinói, il suo primo lungometraggio. Un universo cinematografico molto personale, che ha trovato consensi e premi nei festival europei

All'ultimo Festival di Cannes, una voce insistente arrivava dal Marché: vedere assolutamente Nói Albinói, un'opera prima che ha già fatto man bassa di premi al MovieZone Award di Rotterdam, guadagnando anche due risconoscimenti al Festival de Goteborg, il Grand Prix al Festival Premiers Plans di Angers e quello al Festival du film Nordique di Rouen. E chi è l'autore di questa commedia esistenzialista su un adolescente superdotato che resta nel suo paesino in mezzo alla neve? Dagur Kàri, un artista ficcanaso di 29 anni che rappresenta bene il grande talento della nouvelle vague islandese. Cineuropa l'ha incontrato a Parigi, in occasione dell'uscita del film nelle sale francesi.

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Quando ha deciso di diventare regista?
"A 17 anni. Suonavo, facevo fotografie e scrivevo. Mi trovavo di fronte a una scelta di campo, era molto difficile. Quando ho visto, durante un festival in Islanda, i film di Jim Jarmusch e Aki Kaurismäki ho deciso di diventare regista. Ho iniziato a scrivere script, poi ho lavorato per due anni in una televisione prima di entrare alla National Film School danese nel 1995. Il mio saggio di fine corso Lost Week-end è stato un buon debutto. Nonostante la tiepida accoglienza della stampa danese, il film ha avuto un grande successo, vincendo 11 premi nei festival internazionali".

Come è nata l'idea di Nói Albinói?
"Ho impiegato 10 anni per far nascere il soggetto. Ho inventato il personaggio ancora prima di sapere che avrei fatto un film. Ho conservato tutte le idee che mi venivano in mente, pensando di riunirle prima in un cartone animato, poi in una novella. Quando ho finito la scuola ho capito che avevo materiale a suffcienza per un film. E' un'opera di finzione che non ha niente di autobiografico. Un quarto del budget totale di 1,2 miloni di euro è stato coperto dal governo islandese. Avevo un produttore isalndese, poi è entrata in coproduzione la compagnia di vendite franco-tedesca The Coproduction Office, seguita dai danesi. E' stato tutto molto rapido e molto facile."

Quali sono le vostre fonti di ispirazione?
"Le buone sitcom mi influenzano molto: non ci sono eroi, i personaggi sono sempre occupati a risolevere dei problemi, mi piace questo tipo di situazioni. Adoro anche le situazioni comiche e gli spazi chiusi come la casa del Cosby Show o la cittadina dei Simpsons. Di fatto, mi sento poco islandese. E' molto difficile realizzare film perché il paese è troppo piccolo. Dato che mi piace deformare la realtà, è più facile farlo all'estero. Per questo vorrei fare i prossimi due film fuori dall'Islanda".

Progetti futuri?
"Ho voglia di realizzare un film Dogma, dopo le difficoltà incontrate per portare a termine Nói Albinói. Era il mio primo film, girato in inverno, i problemi economici hanno rallentato la post-produzione. Adesso voglio fare un film veloce, pieno di adrenalina, più selvaggio, forse in estate. E il Dogma permette tutto ciò: non ci sono luci artificiali, né scenografie, solo gli attori e la telecamera. Sono favorvole agli attori non professionisti: il cinema è come la musica, se si suona bene non c'è bisogno di aver preso delle lezioni. Più in generale, il movimento del Dogma ha già avuto il suo momento di gloria. E' stato interessante con i primi tre film, poi è diventato solo una semplice questione di marketing. Ma, sul piano personale, resta valido. Il mio prossimo film, che racconterà ancora la storia di un giovane, sarà prodotto da Nimbus Film (Festen e Mifune)."

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