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Jo Sol • Regista

“Il mio obiettivo è scuotere la realtà”

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- Il regista barcellonese Jo Sol ci parla del suo ultimo film, Vivir y otras ficciones, presentato in concorso al 18° Festival del cinema europeo di Lecce

Jo Sol • Regista
(© Vittoria Scarpa)

Proclamato miglior film lo scorso ottobre al Cinemed di Montpellier e premiato pochi giorni fa al Festival del cinema spagnolo di Nantes, Vivir y otras ficciones [+leggi anche:
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intervista: Jo Sol
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del regista barcellonese Jo Sol, in concorso al 18° Festival del cinema europeo di Lecce, è un’opera coraggiosa, contro ogni tabù, tra finzione e documentario, che mette a confronto due uomini “diversi”: Pepe, reduce da una clinica psichiatrica dove era stato mandato dopo essere stato sorpreso a rubare per lavorare, e Antonio, scrittore tetraplegico che lotta per il diritto delle persone disabili ad avere una vita sessuale. Due esperienze umane che dialogano fra loro, e che fanno riflettere sul confine tra vivere e sopravvivere.

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Cineuropa: Qual è l’origine di questa opera così singolare, sia nella forma che nel contenuto?
Jo Sol: E’ un film singolare ma non distante dai miei lavori precedenti. Pepe Rovira, il protagonista, era già al centro di un film che feci dodici anni fa, El taxista ful, che parlava di precarietà del lavoro, con uno sguardo nuovo sul capitalismo, attraverso il personaggio di un 50enne che rubava taxi per poter lavorare. Ho recuperato questo personaggio, ma anche un altro film precedente, Fake Orgasm, sul corpo transessuale e l’identità. Questo film colpì molto Antonio Centeno, l’altro protagonista di Vivir y otras ficciones, un attivista tetraplegico molto importante in Spagna che lo vide e mi chiamò per conoscermi, poiché stava producendo un documentario sulla sessualità delle persone diversamente abili. Lui fece una lettura del mio film che nessuno aveva fatto prima: il corpo come luogo dove confluiscono diversi movimenti post-utopici contemporanei, dove il movimento Crip si fonde con il movimento Queer, una riflessione sull’identità che va ben oltre il pensiero egemonico, e che allo stesso tempo interroga il sistema e lo fa vacillare. Da questo sguardo è nato il film.

Nel suo film, il confine tra finzione e documentario è quasi impercettibile.
Non credo nei confini. Per me è difficile, quando cerco la verità, stabilire se farò un documentario o un film di finzione. Voglio scuotere la realtà, attaccarla, l’obiettivo è questo, ma il modo per farlo non lo so a priori. Ho una storia da raccontare e questa storia ha qualcosa di reale, i fatti sono successi davvero nella vita di queste persone.

Il film contiene alcune scene crude, dove i corpi “diversi” sono mostrati nella loro intimità, senza veli. Ha avuto difficoltà a girarle?
Molte scene importanti del film le ha create Afra Rigamonti (che cura la fotografia, insieme al regista, e il montaggio, ndr). Siamo stati in due dall’inizio alla fine. Lo script, la pre-produzione, la mise en scène, le riprese, il montaggio, il final cut, è opera nostra. Io parlo con i personaggi, sono parte della situazione, manipolo la storia, ma è lei che coglie i momenti. Se l’intimità dei personaggi è mostrata nella loro normalità e quotidianità, è perché Afra è riuscita a trovare il giusto equilibrio. Ma l’importante è che venga mostrata al pubblico, oltre al corpo nudo, una risposta: che cosa rende un corpo desiderabile, e allo stesso tempo, quanto siamo tutti fragili. Le persone in sedia a rotelle hanno gli stessi bisogni di tutti; quando perdi l’uso delle gambe, magari non potrai danzare o correre, ma hai una vita intera da vivere.

A un certo punto, anche il corpo di Antonio diventa desiderabile: la prostituta prova piacere con lui, mentre la sua assistente sembra essere gelosa. E’ così?
E’ una cosa vera, ci sono donne che desiderano Antonio e Antonio desidera le donne, lo so perché l’ho visto. In questo caso, però, era importante tenere distinte le due figure di assistente personale e assistente sessuale, che nel film sono incarnate da due brave attrici, Arántzazu Ruiz e Ann Perelló. Ed è vero, l’assistente personale arriva a provare gelosia: si prende cura di lui tutti i giorni, prova una sorta di amore romantico, e quando scopre che Antonio è una persona completa anche nel suo desiderio, per lei diventa doloroso.

Pochi giorni fa, il film è stato premiato a Nantes dalla giuria dei giovani, una scelta tutt’altro che scontata.
Anche ad Abycine abbiamo ricevuto il premio dei giovani, e sono davvero orgoglioso di questo, perché i giovani ancora credono che il cinema appartenga alla sfera del pensiero, che non sia solo intrattenimento. E’ importante continuare a fare opere che stimolino questa visione. Siamo stati premiati anche come miglior film al Cinemed di Montpellier, un festival molto coraggioso nella sua selezione. Eppure, facciamo molta fatica a far capire ai distributori che il nostro non è un film strano o difficile da capire, faccio un cinema semplice ma con uno sguardo intelligente perché penso che il pubblico sia intelligente. Per ora, a partire da maggio, abbiamo un programma di proiezioni su richiesta, ogni settimana portiamo il film in una città diversa: gli spettatori interessati comprano il biglietto in anticipo e noi andiamo lì col film, con Pepe e Antonio, e poi ne discutiamo insieme.

Per quanto riguarda i festival, invece, dove sarà mostrato prossimamente il film?
A Istanbul, al Festival del cinema d’autore di Barcellona, a Visions Socials di Cannes, poi in Sud America al Festival Human Rights di Buenos Aires, in Uruguay e in Cile. Siamo contenti perché facciamo tutto da soli, non abbiamo distributori e siamo una casa di produzione molto piccola (Shaktimetta Produccions, ndr). Avere visibilità è davvero difficile.

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