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Damien Manivel, Kohei Igarashi • Registi

“Abbiamo cercato di prenderci il tempo necessario per portare l'emozione al pubblico”

di 

- VENEZIA 2017: Cineuropa ha intervistato Damien Manivel e Kohei Igarashi, registi di La Nuit où j'ai nagé , presentato nella sezione Orizzonti a Venezia

Damien Manivel, Kohei Igarashi  • Registi
(© La Biennale di Venezia - foto ASAC)

Nel loro primo film insieme, La Nuit où j'ai nagé [+leggi anche:
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, proiettato nella sezione Orizzonti alla Mostra del cinema di Venezia, Damien Manivel e Kohei Igarashi mettono in scena una giornata della vita di un bambino. Il film è interpretato da Takara Kogawa, un bambino che affronta la neve di Aomori per vedere suo padre, un pescivendolo che riesce a malapena a scorgere. 

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Cineuropa: Molti film che hanno un bambino per protagonista, sono rappresentati attraverso la prospettiva di un adulto. È una cosa che volevate evitare?
Damien Manivel: Siamo entrambi adulti, non più bambini, oramai. Ma in questo film, volevamo metterci al suo livello e guardare il mondo attraverso i suoi occhi. Ci piacciono i film che poi ci fanno riflettere. Quando li vedi per la prima volta, può capitare che poi non sai esattamente come ti senti. Ma comunque continui a pensarci e improvvisamente, qualche giorno dopo, ti rendi conto che ti sono proprio piaciuti. Qui, abbiamo cercato di fare una cosa del genere: prenderci il tempo necessario per portare l'emozione al pubblico.

Che indicazioni avete dato a Takara Kogawa?
Kohei Igarashi:
Non volevamo controllarlo in alcun modo. Volevamo essere certi che si esprimesse liberamente.

DM: In La Nuit où j'ai nagé,avevamo soltanto una linea narrativa e sapevamo come volevamo girarlo. Ma, stabilite queste cose, lo abbiamo lasciato libero. Il nostro è un film di finzione, non un documentario. Quindi, invece di parlare di questo bambino, volevamo concentrarci sulle sensazioni.

Prima di decidere di lavorare insieme, stavate entrambi sviluppando dei progetti vostri. È stato difficile mettersi di punto in bianco nella prospettiva di qualcun altro?
KI:
Volevamo condividere una stessa prospettiva, che non significa che siamo esattamente nella stessa posizione, perché abbiamo iniziato da luoghi diversi per creare alla fine qualcosa insieme. Ci rispettiamo l'un l'altro e rispettiamo l'uno il lavoro dell'altro, quindi ascoltiamo sempre quello che ognuno di noi ha da dire. 

DM: Prima di iniziare a girare il film, abbiamo discusso molto del tipo di sensazioni che avremmo voluto suscitare e, piano piano, abbiamo iniziato ad avere un'idea di come raggiungere quell'effetto. Ma a volte o, addirittura, la maggior parte delle volte, è stato Takara stesso che ha tirato fuori un'idea, cambiando completamente quello che noi avevamo in mente. E ci è piaciuto moltissimo!

KI: Se ti concedi di essere libero, il film può migliorare notevolmente, soprattutto perché in questo modo, resti aperto a nuovi modi di affrontare le cose. 

DM: Quando abbiamo scritto la sceneggiatura, non pensavamo che il film potesse essere divertente. Ma quando abbiamo incontrato Takara, che invece è molto buffo, abbiamo deciso di incorporarvi qualche elemento in questa direzione. Siamo stati molto fortunati. Se hai tutto sotto controllo, non c'è più alcun divertimento, almeno non quando si fanno le riprese. Devi essere pronto a correre qualche rischio, anche quando non sei sicuro che funzionerà.

Perché avete deciso di ambientare il film proprio in quel luogo?
KI:
Per i giapponesi, Aomori (che significa “la foresta verde”) equivale all'inverno perché c'è tantissima neve lì, più che in tutto il paese. Lo abbiamo scelto anche perché lì l'inverno dura molto a lungo.

A un bambino, che ha una percezione diversa del tempo, può sembrare che l'inverno non finisca mai. Questo senso dell'attesa permea tutto il film.
IK: Per un bambino, tutto dura di più. In particolar modo per lui, perché è solo. Il tempo scorre più lentamente quando non c'è nessuno intorno.

DM: Penso che La Nuit où j'ai nagéha poco a che fare con l'attesa e più con la solitudine. Questo ragazzino si trova in una specie di bolla e lotta contro il tempo. Ma è vero che quando sei piccolo, tutto sembra che duri un'eternità. Anche prendere il treno, perché le distanze sembrano enormi.

E perché avete deciso di non inserire alcun dialogo?
DM:
Volevamo essere molto precisi nel filmare i dettagli, ogni minimo gesto e piccola avventura, non volevamo inventare un dramma dove non ce n'era bisogno. Questo bambino vuole solo dormire, si annoia, cerca di togliersi la neve dagli scarponcini. I suoi problemi sono molto semplici.

C'è poesia nel silenzio, c'è qualcosa di molto potente in esso. Quando abbiamo iniziato a sviluppare il film, abbiamo parlato molto dei libri per bambini. Questi hanno solo delle immagini, eppure riescono a comunicare molto, ed è questo che ci ha ispirato di più.

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(Tradotto dall'inglese)

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