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Nicolás Combarro • Regista

“García-Alix è un artista unico, profondo e sincero”

di 

- SAN SEBASTIÁN 2017: Il galiziano Nicolás Combarro debutta alla regia con il documentario Alberto García-Alix. La línea de sombra, dove ritrae il mitico fotografo da lui molto ammirato

Nicolás Combarro  • Regista

Alberto García-Alix. La línea de sombra [+leggi anche:
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intervista: Nicolás Combarro
scheda film
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 ha inaugurato la sezione Nuovi registi del 65º Festival di San Sebastián. Si tratta di un documentario che ripercorre la vita e l’opera del geniale fotografo, diretto da Nicolás Combarro (A Coruña, 1979), laureatosi in Comunicazione Audiovisiva all’Università Complutense di Madrid. Nella capitale spagnola ha lavorato come curatore di mostre e artista audiovisivo, collaborando con García-Alix ai suoi cortometraggi sperimentali.

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Cineuropa: García-Alix comincia il documentario affermando che c’è sempre qualcosa che il fotografo non riesce a catturare. C’è qualcosa che non è riuscito a catturare in questo film?
Nicolás Combarro:
Sì, perché non c’era spazio: è più quello che lasci fuori che quello che alla fine metti dentro. Ma dell’idea di partenza siamo riusciti a concentrare una parte significativa, sia dell’opera che del processo vitale di Alberto: mi interessava molto insistere su quello. Sono contento di quello che siamo riusciti a catturare, anche se rimangono sempre cose fuori.

Il documentario è un genere molto vivo, oltre alla sceneggiatura iniziale, poi la realtà ti porta su strade inaspettate. Quanto è cambiato rispetto all’idea iniziale, o il risultato vi si avvicina molto?
Si avvicina molto al concetto originale, però è vero che nello sviluppo succede quello che succede, ma avevo un’idea molto chiara della storia che volevo raccontare, che è quella di Alberto: non mi sono inventato nulla, è quasi un’autobiografía. Però mi sono chiesto: quale parte della storia mi interessa? Come condurre la conversazione per arrivare a quei punti? E come accompagnarla con l’opera? In sostanza, nel documentario c’è l’idea iniziale.

E perché girare in bianco e nero (come sono le foto che fa Alberto) e usare la sua voce off?
C’è un dialogo costante con Alberto: l’assenza di colore con cui lavora, la qualità delle immagini anch’esse molto curate, la differenza è che l’immagine sua è molto più costruita e la nostra più nuda, lasciamo fluire l’immagine, anche se controllo di più la narrazione. Ci sono differenze e coincidenze. E la sua voce ci conduce attraverso il documentario: per me non c’era altro modo per farlo, che fosse lui a raccontarci la sua storia.

Oltre ai suoi soggetti fotografici (droghe, moto, rock…), c’è un salto importante a Valparaíso, dove García-Alix sta realizzando un progetto: perché proprio quello?
Volevamo ritrarre Alberto in un lavoro attuale, non volevamo forzare una situazione in modo artificiale per il documentario, così abbiamo deciso di accompagnarlo nel suo secondo viaggio in Cile e ci ha regalato un’esperienza incredibile: ha un magnete per le persone e le situazioni uniche.

Che cosa distingue García-Alix dagli altri artisti?
Come dice bene, Alberto trascende i formati: fotografa, scrive, fa video e cinema, come un artista multidisciplinare. E poi la profondità che ha, che oggi è più difficile da osservare nell’arte: c’è una profondità nel discorso e una sincerità nello sguardo che mi paiono uniche. Fanno parte di un modo di intendere l’arte e la vita. Dice molto la frase: “Un modo di guardare è un modo di essere”.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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