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Paolo Taviani • Regista

“Può capitare a tutti di impazzire per amore e dimenticare tutto il resto”

di 

- Dopo la première a Toronto, Paolo Taviani presenta alla 12a Festa di Roma il nuovo film scritto con il fratello Vittorio, ma diretto da solo, Una questione privata. In sala dal 1° novembre

Paolo Taviani • Regista
(© Vittorio Zunino Celotto/Getty Images/Festa del Cinema di Roma)

L’amore, la gelosia, l’ossessione sono al centro di Una questione privata [+leggi anche:
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intervista: Paolo Taviani
scheda film
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, il nuovo film di Paolo e Vittorio Taviani ispirato all’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio, che dopo la prima mondiale al Festival di Toronto, è stato proiettato in selezione ufficiale alla 12a Festa del cinema di Roma, e sarà in sala dal 1° novembre. Un film in cui la guerra e la Resistenza fanno da sfondo al dramma personale del protagonista, incarnato da Luca Marinelli. A parlarne a Roma è Paolo Taviani, che ha curato la regia del film, per la prima volta da solo.

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Cineuropa: Che cosa vi ha portato ad adattare proprio questo romanzo, il meno “epico” di Fenoglio, incentrato su un dramma privato, d’amore?
Paolo Taviani: Abbiamo sempre amato Fenoglio, lo consideriamo il più grande scrittore italiano dal dopoguerra a oggi. Ma non siamo mai riusciti a realizzare film dai suoi libri perché siamo sempre arrivati tardi, i diritti erano già presi da altri. Eravamo ormai rassegnati. Poi due anni fa, ho ascoltato alla radio una rilettura di “Una questione privata”. Emozionato, ho chiamato l’attore che lo aveva interpretato, ringraziandolo per avermi fatto riscoprire questo capolavoro. A sorpresa, lui mi disse che tre minuti prima aveva ricevuto una chiamata da mio fratello Vittorio, che gli diceva la stessa cosa! Da lì abbiamo capito quale sarebbe stato il nostro prossimo film, e ci siamo buttati a capofitto in questo libro straordinario.

Che cosa racconta questa storia al pubblico di oggi?
E’ un luogo comune, un triangolo amoroso, lui, lei e l’altro: è una storia vecchia, da tragedia greca. Nuovo deve essere l’autore che riprende questi temi e li fa vivere con sentimenti suoi, contemporanei. E’ una storia che il pubblico può amare, perché può capitare a chiunque di impazzire d’amore e di gelosia, di amare e dimenticarsi di tutto il resto, come il nostro protagonista che si dimentica di essere in montagna, che c’è la Resistenza. Lui non rinnega la battaglia, se ne scorda, per colpa di questo amore incerto, non sa se la donna che ama lo ha tradito col suo migliore amico.

Il film racconta un’ossessione d’amore, la Resistenza va in secondo piano. Può l’amore, quando entra prepotentemente nel cuore di un uomo, mettere da parte ogni ideologia?
E’ vero, nel personaggio accade questo, ma il film rappresenta anche quello che era il fascismo. La scena in cui si vede la bambina viva che giace insieme ai suoi familiari, sterminati perché hanno dato ospitalità ai partigiani, viene da un episodio vero che ci hanno raccontato quando lavoravamo a La notte di San Lorenzo: la bambina cercava di dormire accanto alla madre, pensando che stessero tutti riposando, lì per terra. Non c’è solo il protagonista che diventa come L’Orlando furioso, pazzo d’amore, che non capisce più niente. La storia gli cammina accanto, e c’è anche altro.

Dopo La notte di San Lorenzo, ancora i fascisti. I fascismi di oggi sono simili a quelli di ieri?
Gli episodi recenti di antisemitismo (durante una partita di calcio, a Roma, alcuni tifosi hanno mostrato immagini oltraggiose di Anna Frank, ndr) sono una spia del fatto che i genitori non hanno insegnato niente a questi figli irresponsabili. Soprattutto la scuola non ha fatto capire da che storia veniamo, perché se conosci la storia da cui provieni, capisci meglio perché oggi sei così. Quello che è successo a Dachau andrebbe insegnato ai bambini così come si insegna l’inglese. Il manifesto del nero che allunga la mano sulla donna bianca (diffuso di recente da un movimento di ultradestra, contro gli “immigrati stupratori”, ndr), è lo stesso della Repubblica di Salò. Si ripetono luoghi comuni del passato, non c’è niente di nuovo, è una forma vecchia di fascismo.

Tornando al film, è il primo che dirige senza suo fratello…
Non credevo che, diventando vecchio, avrei diretto un film da solo. E’ stato inaspettato. La vita è così, si invecchia, ci si ammala. L’importante è cercare di non farsi travolgere, ed è quello che io e Vittorio abbiamo fatto. Abbiamo lavorato insieme, scritto insieme il film, gli mandavo i giornalieri, ci telefonavamo (e litigavamo spesso). E’ continuato tutto come prima, più dolorosamente, certo, perché lui non è qui. Ma nonostante l’assenza di Vittorio, è stata una lavorazione bella, grazie alla storia, al luogo e agli attori, e a tutta la troupe. C’era un clima di solidarietà, forse perché pensavano che dovessi essere confortato… Mi sentivo molto protetto.

Non siete nuovi agli adattamenti letterari. Quanta libertà vi siete presi con Fenoglio? Come avete tradotto il libro nel film?
Noi in genere non traduciamo, noi scegliamo un libro perché in quelle pagine troviamo dei sentimenti che in quel momento ci interessa rappresentare al cinema. E per far ciò, spesso tradiamo il testo. Perché il cinema non è letteratura, è un altro modo di pensare e di esprimersi. Noi diciamo grazie a Fenoglio, e poi andiamo avanti per la nostra strada. Ogni volta ci poniamo il problema non tanto di essere diversi, ma di trovare in noi sentimenti che non abbiamo ancora espresso. Questo libro ci ha dato modo di esprimere inquietudini nostre e di raccontarle con il cinema. Come diceva Pirandello, le storie sono come dei sacchi vuoti, afflosciati a terra, stanno in piedi solo se li riempi di sentimenti e di emozioni tue.

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