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Agustín Díaz Yanes • Regista

"Non ha senso un film senza una donna forte"

di 

- Agustín Díaz Yanes torna in gran stile con Oro, film violento sulla conquista dell’America presentato in prima mondiale al 14º Festival del Cinema Europeo di Siviglia

Agustín Díaz Yanes  • Regista
(© David Vico / SEFF)

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è uno dei titoli più attesi dell’anno, non solo per il suo cast pieno di stelle nazionali (José Coronado, Raúl Arévalo, Bárbara Lennie...) ma anche perché rappresenta il ritorno di uno dei registi più ammirati di Spagna: Agustín Diaz Yanes, che lo ha presentato al 14º Festival del Cinema Europeo. Abbiamo incontrato il regista nella cornice unica dell’Archivio Generale delle Indie di Siviglia.

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Cineuropa: E’ inevitabile chiederle perché è stato così tanto tempo lontano dai set...
Agustín Díaz Yanes: Perché non mi chiamavano. L’unico ad averlo fatto è stato lo scomparso Pedro Costa, per scrivere Jarabo, ma quel film non è andato avanti. Fino a quando non mi ha chiamato Mikel Lejarza, di Atresmedia Cine, che deteneva i diritti del racconto di Arturo Pérez Reverte sul quale si basa Oro. Successivamente, molto presto, si è unito al progetto Enrique López Lavigne, di Apache Films.

E perché pensa ci sia stato questo oblio?
E’ stata una combinazione di cose: in primo luogo, il mio ultimo film non funzionò come credevamo; poi feci uscire quel film quando cominciò la crisi ed è arrivata una generazione di registi e produttori nuovi, per cui è normale che gli anziani fossero messi all’angolo.

C’è anche una nuova domanda, verso generi più popolari, giusto?
Sì, si cerca di fare molta commedia e il tipo di cinema che avevo fatto io fino a quel momento era più complicato e costoso. Alatriste [+leggi anche:
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, del 2006, fu un grande successo, ma precedente a Sólo quiero caminar [+leggi anche:
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, del 2008: era un'altra epoca, con più mezzi e una sensibilità diversa.

Alatriste condivide con Oro la presenza di Arturo Pérez Reverte per la trama, il fatto di essere un film d’epoca e di parlare del nostro passato storico...
Sì, ma sono diversi: Alatriste era un eroe di cui Arturo aveva scritto sei romanzi di grande successo; Oro era un racconto di gente anonima. Però sì, condividono il fatto di essere pellicole storiche che abbiamo fatto noi due. Alatriste è stato per me come un master in ambientazione storica: costumi, trucco, documentazione... da quel punto di vista, ero già addestrato per fare lo stesso in Oro.

Ad ogni modo, ricreare il linguaggio di un’altra epoca deve essere più complesso che farlo con i costumi o la scenografia, vero?
Lì ho seguito una formula usata dagli inglesi: modernizzare il linguaggio ma intercalando le espressioni del tempo, perché se no risulta troppo pesante, poiché il linguaggio di quel tempo era molto cerimoniale. In Alatriste ho fatto questo: che suonasse come nel XVI secolo usando le parole del tempo, ma combinandole con espressioni attuali.

Il film parla della smania della ricchezza e della fama: un tema sempre attuale.
È universale: in Shakespeare e nella Bibbia già c’erano questi temi. La maggior parte di noi affronta questioni già presenti nella tragedia greca e nella nostra letteratura. Sono sempre le stesse questioni: l'amore, il denaro, l'avidità, la gelosia, l'avarizia e l'inimicizia.

Le poche donne che compaiono in Oro sono forti e decise, come nel resto della sua filmografia.
Mi sono sempre piaciute le donne forti: un film senza una donna forte non ha molto senso. Il personaggio di Bárbara Lennie è quello che sento più mio di tutto il film, quello più creato da me. E le donne coraggiose sono presenti nei film dall'età dell’oro di Hollywood: Barbara Stanwyck o Bette Davis le hanno già incarnate. E in Italia c’era la grande Anna Magnani. Tutto è già inventato... da Shakespeare, con Lady Macbeth.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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