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Frédéric Boyer • Direttore artistico

“Per un film, partecipare a Les Arcs è un vero successo”

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- Frédéric Boyer, il direttore artistico del Festival del cinema europeo di Les Arcs, parla del Work in Progress e dei cambiamenti dell’industria

Frédéric Boyer • Direttore artistico

A due giorni dall’apertura del 9° Festival del Cinema Europeo di Les Arcs (dal 16 al 23 dicembre 2017), un incontro con il direttore artistico Frédéric Boyer (presente anche a Tribeca) per parlare, oltre che della selezione (leggi la news), del Work in Progress (leggi la news) e dei cambiamenti in corso nell’industria cinematografica mondiale.

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Cineuropa: Qual è la linea editoriale della selezione dei 15 film del Work in Progress 2017 di Les 
Frédéric Boyer: In primo luogo, non vogliamo presentare dei film quasi completamente realizzati: la priorità è quella di scegliere delle opere che siano davvero in post produzione o ancora in fase di riprese come Core of the World della russa Natalia Meschaninova e Jihad Jane, Dangerously Seeking Marriage dell’irlandese Ciaran Cassidy, o le cui riprese sono terminate da poco, come Outside del ceco Michal Hoguenauer (leggi la news). Anche la diversità geografica è stata un elemento importante per la scelta: i film provengono da ogni angolo d’Europa. Quest’anno, c’è stato un focus particolare sui temi poiché il nostro Work in Progress deve anche intrattenere e suscitare l’interesse dei professionisti con delle storie nuove e con la presenza di registi promettenti. Infine, insieme a Eurimages, abbiamo prestato attenzione affinché i film candidati al Premio Lab Project fossero accessibili in termini di forma e di racconto: sono soltanto dei film d’autore un po’ più al limite, con degli effetti speciali per esempio.

Che impatto hanno i cambiamenti in corso nell’industria cinematografica mondiale sui film d’autore europei?
A volte, mi è capitato di pensare che la qualità generale si sarebbe inevitabilmente abbassata. Tuttavia, ci sono ancora dei registi che ci credono e che hanno il coraggio di fare film che siano davvero ambiziosi. Ciò che si può globalmente constatare è che Cannes sta diventando sempre più importante, che Berlino è sempre più collegato allo stato di salute dell’EFM (si vende, ma non è così facile perché ci sono tantissimi film) e che sempre più titoli cercano festival americani perché hanno degli accordi con Netflix o Amazon. Spesso, inoltre, oggi i venditori preferiscono vendere un film direttamente a una piattaforma e passare a fare altro. Tuttavia, si sentiva ancora recentemente parlare della fine di un mondo sebbene si vedano nascere società di vendita, alcune delle quali si muovono con grande abilità. Penso che siano i mercati a doversi reinventare e hanno capito bene che il loro successo passa per l’esistenza di un’industria ma, affinché possa esistere l’industria, ci vogliono degli eventi dedicati a essa, come il Work in Progress, quindi degli inviti, dei costi ecc. C’è una sorta di corsa un po’ esagerata all’interno della quale Les Arcs è riuscito a posizionarsi bene. Per un film, partecipare a Les Arcs è un vero successo perché il nostro Work in Progress attrae molti venditori francesi, la Cinéfondation, il festival di Cannes ecc.

Lei lavora anche negli Stati Uniti, vicino a piattaforme come Netflix che hanno suscitato un dibattito acceso lo scorso maggio a Cannes. Qual è il vostro punto di vista a riguardo?
I film più importanti non si curano delle piattaforme perché i loro percorsi e le loro vendite passano per le sale. In compenso, quando si ascolta quello che dice Scorsese su Netflix, ovvero che nessun produttore gli ha mai lasciato così tanta libertà e che quando il suo film è a 100 milioni di dollari di budget e passa a 125, è Netflix a mettere i 25 in più, non può essere considerato un problema. David Fincher, i fratelli Cohen, Jeremy Saulnier, Sean Baker e molti altri registi lavorano con Netflix e lo fanno bene. Questo tema non è dibattuto in Australia, negli Stati Uniti o in Inghilterra. Il dibattito è in Francia dove i nuovi media fanno fatica a essere accolti e nessuno, tranne Vincent Maraval, ha provato a cimentarsi con essi facendo capire che il mondo cambia un po’ più velocemente. In Francia, molte persone non hanno un cinema nelle vicinanze. Che male c’è ad andare on line? Quello che fa MUBI, per esempio, è molto rispettabile: fanno uscire Olli Mäki [+leggi anche:
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nelle sale e on line. Un altro esempio è l’e-cinema, da poco in attività e che prende dei film che non hanno distributori: l’idea è buona, anche se è un peccato che un film non venga proiettato nelle sale. Appartengo a una generazione per la quale la sala del cinema è un piacere collettivo. Ecco l’importanza dei festival. Vedere un film con 400 persone è magico! Tuttavia, i film che non hanno accesso ai festival sono più che tra due fuochi: sono direttamente nel forno! A parte i documentari che hanno circuiti specifici, i film d’autore europei hanno almeno bisogno di un discreto successo locale per coprire le spese, un qualcosa di molto difficile. Per questo motivo, tutti si danno al cinema di genere, alla commedia e cercano qualcosa che possa suscitare l’interesse del pubblico. Ci vogliono un tema, degli attori, una sorta di spettacolo, ma possono anche essere dei film d’essai. I produttori che ce la faranno saranno coloro capaci di riflettere davvero sul tipo di film che realizzano. Bisogna sapersi sempre reinventare.

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(Tradotto dal francese da Michael Traman)

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