email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

BIOGRAFILM 2018

Tea Falco • Regista

“Volevo rappresentare la mia Sicilia più buona”

di 

- L’attrice Tea Falco debutta alla regia con Ceci n’est pas un cannolo, docufiction alla ricerca del senso della vita in giro per la Sicilia. In anteprima mondiale al Biografilm

Tea Falco • Regista
(© Biografilm)

Un viaggio nella Sicilia più autentica alla ricerca del senso della vita. E’ quello che compie Tea Falco, 31enne fotografa, performer e attrice catanese (scoperta da Bernardo Bertolucci in Io e te [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
), nel suo primo lavoro dietro la macchina da presa, un documentario che mischia realtà e finzione, scienza e Dio, e che tramite interviste a venti tipologie umane differenti (filosofo, casalinga, playboy, parcheggiatore abusivo, prostituta trans, Adamo ed Eva, solo per citarne alcuni), si pone come un esperimento antropologico surrealistico, fin dal suo titolo magrittiano: Ceci n’est pas un cannolo [+leggi anche:
trailer
intervista: Tea Falco
scheda film
]
. Parte del progetto Eye on Films, che sostiene sul mercato internazionale le opere prime europee più rappresentative, il film ha avuto la sua prima mondiale al 14° Biografilm Festival di Bologna, e sarà trasmesso su Sky Arte il 29 giugno, contemporaneamente al lancio in sala in più di dieci capoluoghi italiani, mentre alla distribuzione nel resto del mondo ci penserà la società parigina Wide House.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Cineuropa: Lavoro, amore, immigrazione, Gesù… Si parla di molte cose nel suo documentario. Qual era la prima domanda che poneva alle persone intervistate?
Tea Falco: Chiedevo quale fosse il senso della loro vita. Altre volte mi limitavo a rappresentare la loro quotidianità, come nel caso di madre e figlia all’inizio del film, o li lasciavo esprimere i loro concetti e punti di vista, la loro anima. La scrittura è stata libera, non è né un documentario puro né un film di finzione, unisce entrambi. Mi sono divertita molto a entrare nelle case di queste persone e a parlare con loro.

Lo spunto iniziale che l’ha portata a realizzare questo film, qual è stato?
Io vengo dalla fotografia, i miei riferimenti sono fotografi di reportage come Bresson, Doisneau, Arbus che fotografava i freak, mi sono sempre interessati i momenti di vita quotidiana. Già a 20 anni, fotografando gente per strada, pensavo a un progetto sulle varie tipologie umane. Volevo descrivere l’animo umano nelle sue sfaccettature, e cercare attraverso di esse il senso della vita. Nel film lo spiego attraverso teorie di fisica quantistica: si dice che l’osservatore influenzi la realtà e che siamo tutti collegati, parte di una trama che ci tiene uniti, il che ci rende in qualche modo immortali: Dio siamo noi. Adamo ed Eva, nelle scene di finzione, litigano sul frutto del peccato: era una mela o una pera? Scardinare il significato del mito della genesi in modo ironico mi ha permesso di chiedermi cosa fosse il punto di vista.

Come ha selezionato le venti persone da intervistare?
Ho fatto scouting per un anno andando in giro per tutta la Sicilia. Anche in maniera un po’ rude, per strada, fermavo le facce che mi interessavano di più. Altri fanno parte della mia vita: mio padre, per esempio, che racconta la storia dei semi di pomodoro, il latin lover di Catania che conosco da 13 anni o il fisico teorico. Il filo che li unisce è che sono persone che hanno vissuto in maniera diversa, non conformi alla società.

Il film offre anche uno spaccato della Sicilia lontano dagli stereotipi. C’era anche questo nelle sue intenzioni?
Volevo rappresentare la mia Sicilia più buona, quanto i siciliani non siano costruiti, soprattutto le vecchie generazioni. Sono pochi i giovani che intervisto, la mia generazione credo di conoscerla molto bene e non mi interessa rappresentarla. Il mio riferimento principale era Due o tre cose che so di lei di Godard, esperimento documentaristico e filmico sulla Parigi di quell’epoca che si avviava verso la globalizzazione. In questo senso, la Sicilia per me non è stata ancora del tutto globalizzata, come tutto il Sud ha una cultura antica, è libera dalle regole, è molto naturale. Con questo film, l’ho scoperta per la prima volta e digerita, non avevo mai girato tutta l’isola in questo modo.

Il film si avvale di collaborazioni illustri: Marco Spoletini, montatore di fiducia di Matteo Garrone; Fabio Cianchetti, direttore della fotografia per Bertolucci e vincitore di sei David di Donatello; Martin Hernandez, candidato all’Oscar per il montaggio sonoro di Birdman. Come li ha coinvolti?
Con Fabio Cianchetti ci siamo conosciuti sul set di Io e te, ha aderito al progetto da subito, e con lui abbiamo scelto di utilizzare una fotografia più cinematografica che documentaristica. Marco Spoletini, quando gli ho inviato il progetto, è rimasto colpito dal suo valore artistico e culturale. Martin Hernandez l’ho incontrato a un festival in Messico, ha visto le mie fotografie e gli sono piaciute. Mi ha detto che di progetti davvero personali ce ne sono talmente pochi che bisognava fidarsi. E si è fidato.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy