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VENEZIA 2023 Fuori concorso

J.A. Bayona • Regista di La società della neve

“Attraverso la finzione cerchiamo di dare un senso alla realtà”

di 

- VENEZIA 2023: Il regista spagnolo approfondisce i dettagli del suo nuovo progetto, che racconta la storia del volo 571 dell'aeronautica uruguaiana, precipitato sulle Ande nel 1972

J.A. Bayona  • Regista di La società della neve
(© Fabrizio de Gennaro/Cineuropa)

Il film di JA Bayona che è venuto dopo Jurassic World: Il regno distrutto [+leggi anche:
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può apparire come una scelta strana, ma da tempo il regista spagnolo desiderava raccontare la storia del volo 571 dell'aeronautica militare uruguaiana, precipitato sulle Ande nel 1972, come documentato nel libro di Pablo Vierci La società della neve. La società della neve [+leggi anche:
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, film di chiusura dell'80ma Mostra di Venezia, non lesina sui dettagli della paura  sopportata dalle persone coinvolte, raccontando la sopravvivenza quasi impossibile di 29 (dei 45) passeggeri, giocatori di rugby, che dovettero affrontare un ambiente inospitale per 72 giorni. Cineuropa ha parlato con Bayona della complessità del suo nuovo progetto.

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Cineuropa: Che cosa rende così potenti le storie "uomo contro la natura"?
JA Bayona: Conoscevo già la storia dell'incidente aereo sulle Ande del 1972. Conoscevo i fatti, ma non tutte le implicazioni che la storia aveva. Queste le ho scoperte nel libro di Pablo Vierci, soprattutto quel vecchio tema legato al personaggio di Numa [Enzo Vogrincic], che deve abbandonare tutte le sue precedenti convinzioni e adattarsi alle regole della montagna: bisogna accettare il proprio lato oscuro. In un certo senso, tutti loro trovano nella natura la loro parte più vera, e forse trovano il coraggio di accettarla.

Questa storia, come ogni storia di sopravvivenza, può essere sia eroica che tragica. Come si inseriscono questi opposti nel suo approccio narrativo? Lei ha già affrontato questo tema in The Impossible [+leggi anche:
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L'aspetto interessante per me è stata la presenza dei morti nel libro. Racconta la storia dei sopravvissuti, ma c'è una presenza costante della morte. I sopravvissuti non si sentivano a proprio agio con l'immagine che veniva data loro, cioè che erano loro gli eroi; piuttosto, pensavano che gli eroi fossero coloro che non erano tornati. Queste tensioni di fondo sono state utili per smontare il mito della speranza dell'eroe e per ritrarre qualcosa di più umano. C'era chi faceva molto e non era sopravissuto, e poi c'era chi non faceva nulla ed era tornato comunque.

La cosa curiosa sono i tre gradi di separazione: i sopravvissuti compaiono nel libro di Pablo Vierci, e lei lavora con il libro come materiale di partenza. Questa distanza è stata utile in qualche modo per la realizzazione del film?
Ho intervistato anche i sopravvissuti perché volevo sentire la loro esperienza diretta. Sebbene fossimo d'accordo con Pablo su come raccontare la storia, a volte c'erano sottili differenze tra le loro testimonianze e il libro. In questi casi, cercavamo un denominatore comune. Nel film c'è una citazione: "Devi tornare al passato, sapendo che il passato è la cosa che cambia di più", perché una persona aveva una storia e un'altra ne aveva una diversa. Così, quando abbiamo trovato quattro o cinque persone che erano d'accordo su una certa cosa, abbiamo visto che si trattava di qualcosa di comune.

Per quanto riguarda l'aspetto visivo, è naturale fotografare paesaggi con obiettivi molto ampi, ma perché usare uno strumento simile per ritrarre i volti?
Perché una parte di questi paesaggi è costituita dai loro volti! Quando la valanga li intrappola sottoterra, gli uomini ricordano che quello è stato il momento peggiore di tutti per loro. Ma è anche il momento in cui diventano un gruppo. Quindi, le inquadrature da quel momento in poi li riflettono come gruppo, il che era essenziale perché ognuno era importante quanto gli altri. Quindi, la forma riflette e trasmette il contenuto della scena.

Infine, che dire della scena in cui i sopravvissuti decidono di scattare fotografie tra i detriti dell'incidente? In quel momento, il film rende visibile l'invisibile. C'è qualcosa in questo desiderio di catturare in un'immagine anche le condizioni peggiori, che si collega al ruolo del cinema come testimone di qualcosa che non possiamo vedere da soli?
Sì, e prima di questo c'è una scena in cui si vede una sagoma nera sullo sfondo bianco, e lì credo ci sia l'idea del vuoto, della mancanza di senso nella vita, o almeno nella propria vita. Coloro che salgono sulla montagna cercano di trovare il proprio significato per riempire questo vuoto. Allo stesso modo, direi che, attraverso la finzione, cerchiamo di trovare un senso e di dare un significato alla realtà. Allo stesso modo, le fotografie parlano di questo. E dietro di esse c'è anche il pensiero: "Cosa penseranno di noi, bloccati sulle montagne?".

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(Tradotto dall'inglese)

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