email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

Arnaud & Jean-Marie Larrieu • Registi

"In movimento"

di 

- Incontro con i due fratelli cineasti impegnati nella sottile esplorazione della complessità umana

Di ritorno dal festival del cinema francese di Yokohama e ora presenti con una retrospettiva al « Forum des Images » di Parigi, Arnaud e Jean-Marie Larrieu si sono concessi una piccola deviazione dagli Champs-Elysées per raccontare a Cineuropa l’avventura della loro ultima opera, Peindre ou faire l’amour. Una discussione aperta in cui i due fratelli mostrano una profonda complementarità che ben si addice alla loro sottile ricerca di riproduzione della complessità umana.

Cineuropa: come è nata la sceneggiatura di Peindre ou faire l’amour?
Arnaud Larrieu: dalla semplice osservazione della vita reale, di quelle persone giunte alla conclusione della fase ‘professionale’ della vita sentendosi ancora piene di energia e di voglia di fare. E cosa resta quando la vita sociale si ferma ?
Jean-Marie Larrieu: abbiamo assistito a questo tipo di incontro amoroso in campagna. Direi che questo è l’aspetto ‘giapponese’ del film. In che modo entrano in gioco luoghi e paesaggi ? Tenendo a mente che alla fine della storia c’è un movimento, un cammino verso un ‘altrove’ evocato dalla canzone Les Marquises di Jacques Brel, ma anche attraverso Gauguin. Un "movimento" legato all’arte, alla pittura ed al desiderio, ad un diverso tipo di erotismo, più libero. Un ‘altrove’ che può diventare anche quello della morte, che può significare la fine di qualcosa.
Arnaud Larrieu: il cieco (Sergi Lopez) è una sorta di specchio. I personaggi non sono mai visti da nessuno e si ritrovano faccia a faccia con qualcuno che non può vederli, un momento di profonda esplorazione interiore che li lascia completamente nudi.
Jean-Marie Larrieu: il cieco dona alla coppia la sensazione della verginità. Hanno 55 anni, le forme sfiorite, ma l’aspetto fisico perde la sua ragion d’essere di fronte ad un cieco. All’improvviso possono concedersi qualsiasi libertà, è un pò come se potessero rivivere la loro giovinezza.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Per ragioni produttive non avete girato nei Pirenei…
Arnaud Larrieu: Non sono tanti a girare in quei luoghi. Eppure, ci sarebbe piaciuto portare laggiù Auteuil e Azéma in stivali di gomma.
Jean-Marie Larrieu: Le Alpi sono un territorio più familiare al cinema, cosa che ci infastidiva parecchio. Poi ci siamo detti che avremmo iniziato il nostro percorso di ricerca ispirandoci al luogo più singolare che avessimo trovato: un noceto, proprio di fronte al Vercors, una casa molto particolare con un essiccatoio per le noci a fare da esterno/interno. Poiché ci sono i paesaggi, quattro personaggi, più un quinto: la casa.

Com’è stato dirigere attori del calibro di Auteuil ed Azema?
Arnaud Larrieu: volevamo volti noti. Ma sono stati molto umili.
Jean-Marie Larrieu: Per quanto riguarda la direzione degli attori è stato più facile, anche se bisogna stare estremamente attenti perché tutto accade molto velocemente. In un secondo ti travolgono con un’incredibile mole di informazioni.

Quali sono i vantaggi di dirigere in coppia ? (Arnaud all’inquadratura e Jean-Marie alla direzione degli attori)?
Arnaud Larrieu: un gran numero di film sono diretti dai direttori della fotografia ed ai registi non rimane che dirigere gli attori, quando questi ultimi non si dirigono da soli. E qualcosa va perso nella regia. Per noi l’inquadratura non è una bella immagine, quanto un punto di vista, quindi, una presa di distanza.
Jean-Marie Larrieu: quando dirigi da solo è un continuo avvicinarti e parlare agli attori e correre dietro la macchina a controllare l’immagine. Per noi tutto questo avviene in simultanea ed è giusto che chi si occupa dell’immagine scelga e curi l’inquadratura. Ma abbiamo anche un direttore della fotografia per dare le luci.
Arnaud Larrieu: in ogni caso, partiamo dagli attori, cominciamo sempre da una prova per capire dove metteremo la macchina. Non c’è storyboard.

In quale punto cominciate a giocare con i simboli del film (passaggio nell’oscurità, il fuoco…) ?
Jean-Marie Larrieu: proviamo a trattare ed a comunicare ad un livello ‘sensoriale’ qualcosa che si vive realmente. In seguito delle forze simboliche entrano in scena.
Arnaud Larrieu: in fase di sceneggiatura l’idea dei lapsus dei personaggi ci era particolarmente cara. William (Auteuil) e Madeleine (Azema), ad esempio, che accendono il fuoco quasi come desiderio di rievocare cose primitive.
Jean-Marie Larrieu: la storia si sviluppa attraverso il loro punto di vista ed è proprio per questa ragione che sono assaliti dai dubbi: “è questo ciò che vogliamo, e perchè ci sentiamo colpevoli?” Non sapremo mai cosa sia veramente accaduto. Come nella vita, quando accadono eventi importanti, è necessario andare fino in fondo per darne un’interpretazione e trovarne un significato. Inoltre, amiamo la mitologia: gli dei e le leggende sono ancorati alla realtà ed è questo che la rende diversa e più ricca dei semplici fatti di cronaca. Proviamo a raccontare storie con molteplici livelli. La trama, il funzionamento dell’intreccio si appoggia su segni e presagi. Ci sono persone che rifiutano questa prassi perchè il segno porta con sé sempre qualcosa di ambiguo. Amo le storie in cui non si è mai certi di nulla perché è proprio questo che rende la vita così affascinante e profonda.

Troviamo in Peindre... l’influenza di qualche regista in particolare ?
Arnaud Larrieu: abbiamo pensato spesso a Renoir per quanto riguarda gli attori.
Jean-Marie Larrieu: nella nostra scelta di raccontare della movimentata vita interiore dei borghesi, invece, c’è anche un pò di Buñuel. Ma l’attore, il personaggio, resta prioritario nell’economia del racconto. Ogni volta che si rivede La chienne di Renoir, si coglie l’originalità dell’inquadratura, vi si legge il progresso della tecnica poiché certo, sino ad allora, era rimasta piuttosto indietro rispetto alle potenzialità della recitazione. Noi, per quanto concerne l’inquadratura, cerchiamo di fare qualcosa di quasi hitchcockiano: il quadro dice qualcosa, permette di trasmettere emozioni, cosa che noi tentiamo di fare anche attraverso i paesaggi ed i luoghi.
Arnaud Larrieu: certamente esistono diversi modi di farlo: effetti speciali, luce blu, grandangolo…noi siamo piuttosto semplici e preferiamo restare alla portata dei personaggi. Non ci piace camuffare la realtà per metterci al servizio della pura estetica. E poi per favore basta con il movimento circolare intorno alla tavola!
Jean-Marie Larrieu: per carità, è una bella inquadratura, ma non riusciamo ad immaginare un punto di vista circolare. Spesso i registi non sanno più cosa inventarsi per paura che il pubblico si annoi.

Come mettete d’accordo il vostro approccio artigianale con i problemi finanziari legati alla produzione?
Jean-Marie Larrieu: per fare cinema c’è bisogno di denaro. I budget medi di quei film d’autore che cercano di essere più accessibili al grande pubblico sono i più difficili da mettere in piedi.
Arnaud Larrieu: abbiamo cominciato con il gestire noi stessi i nostri budget e cerchiamo di fare del nostro meglio con ciò che abbiamo a disposizione. Non siamo il genere di registi che alzano un polverone reclamando quattro giorni per girare una particolare sequenza.
Jean-Marie Larrieu: talvolta pensiamo di essere fin troppo rispettosi, anche se siamo ben consapevoli che non si cede su tutto. In ogni caso, tutto questo insegna a saper gestire le difficoltà. Spesso, nel cinema, è proprio perchè si hanno dei limiti che si riesce a trovare l’inquadratura giusta.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy