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Laurent Cantet • Regista

Al di là delle apparenze

di 

- Incontro con un regista dal talento indiscusso che lavora nel labile confine che separa l’intimo dal sociale

Analista preciso e molto disponibile, Laurent Cantet spiega a Cineuropa le ragioni che lo hanno spinto ad intraprendere l’avventura haitiana di Verso il Sud [+leggi anche:
recensione
trailer
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scheda film
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. Un’osservazione profonda che conferma la fine tenacia del regista nell’esplorazione dei suoi temi prediletti, in particolare del bisogno di ciascuno di trovare un posto in un modo oscuro, dove tutti indossano una maschera.


Cineuropa: Cosa ti ha indotto a cimentarti su di un argomento legato ad Haiti?
Laurent Cantet : All’inizio c’è stato un viaggio a Port-au-Prince. Trovarsi in un paese in cui si percepisce subito, fortissima, un’arte del vivere, una forza, una sensualità, una cultura ricchissima, e soprattutto, una ribellione contro un livello di povertà condivisa da pochi altri posti al mondo, e contro una violenza di fondo che senti sempre pronta ad esplodere, è stata un’esperienza meravigliosa. Immediatamente, ho sentito il desiderio non tanto di fare questo film in particolare, dal momento che non avevo ancora letto Dany Laferrière, ma di realizzare un film che avesse a che fare con il ruolo del turista in un luogo così povero. La difficoltà che avevo incontrato nel trovare il mio posto laggiù, mi ha ricordato altre esperienze personali che mi hanno aiutato ad ampliare il respiro di un’opera il cui valore poteva essere più politico di quanto sembrasse a prima vista. L’eterna ricerca del proprio posto nel mondo è una costante dei miei film, insieme ad un altro motivo ricorrente che rimanda alla necessità di indossare una maschera, proprio per fingere di aver trovato un ruolo nella società, che spesso però non corrisponde a quello cui realmente aspiriamo.

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Verso il Sud, infatti, sembra un film in cui i temi sono dissimulati.
Sì, credo che il film non riveli la sua natura in modo diretto. La storia più intima svela poco a poco una serie di elementi che rimangono sospesi nell’aria. Ciò che mi interessava era questa violenza sociale, silenziosa ed inespressa ma sempre presente, di cui non ci è data alcuna spiegazione perché credo che la realtà sia spesso più arbitraria di una sceneggiatura ben confezionata. Quello che più mi ha colpito a Port-au-Prince, è l’impressione che tutto può accadere: incidenti felici o sfortunati, incontri meravigliosi o sparatorie improvvise, un mix di dolcezza e di violenza. Ho tentato di mostrare l’arbitraria casualità degli eventi nella vita delle persone, e la possibilità di trovarsi improvvisamente coinvolti in qualcosa di più pericoloso di quanto si poteva inizialmente immaginare.

Come hai scelto il tuo trio di attrici?
Quando comincio a pensare a un film, delle sembianze si materializzano e così, senza alcuna premeditazione, è emersa un’immagine che assomigliava molto a Charlotte Rampling. L’ho incontrata prima di scrivere la sceneggiatura, abbiamo parlato e mi ha fatto tutte le domande che avevo bisogno mi facesse. Ha letto la sceneggiatura e ci ha pensato su, perché sentiva che il suo non sarebbe stato un ruolo facile, un personaggio non molto simpatico all’inizio e debole nel finale. Ma ha detto di sì ed ha persino accettato che il film venisse rimandato di una anno, dato che avremmo dovuto cominciare all’inizio del 2003, quando Aristide fu deposto. Ho invece scoperto Karen Young al termine di un provino abbastanza tradizionale a New York. Per quanto riguarda Louise Portal, l’avevo vista nei film di Denys Arcand ed aveva la vitalità giusta per questo personaggio che doveva fare da contrappunto alle due altre donne.

Il premio per il miglior esordiente a Menothy Cesar al festival di Venezia ti ha colto di sorpresa?
Ha creato un personaggio stupendo. Non aveva mai visto una macchina da presa, era privo di qualsiasi tecnica, ma sin dalla prima prova, ho avuto l’impressione di trovarmi dinanzi ad un vero attore. Già dalla prima improvvisazione ha dimostrato di avere ritmo, sapeva quando fermarsi, sapeva persino come reggere un silenzio, cosa veramente rara in un attore non professionista. Aveva una sorta di grazia e di naturalezza che è stato in grado di mantenere di fronte alla macchina da presa.

Come ti è venuta l’idea dei monologhi sguardo in macchina, cosa piuttosto rara nel cinema contemporaneo?
I monologhi mi sono venuti in mente praticamente sin da quando ho iniziato a scrivere, perchè rispettano la struttura del romanzo di Dany Laferrière: Una sequenza di testimonianze di queste donne che raccontano una storia che prende forma poco a poco. Volevo mantenere questo aspetto quasi letterario oltre al fatto che, poiché il film tratta di un argomento ‘proibito’, il desiderio femminile, mi sembrava importante non solo vedere queste donne viverlo, ma anche sentirlo raccontare con le loro stesse parole, come in presenza di un diario segreto di cui fanno partecipe lo spettatore.

Come sono andate le riprese in una situazione così difficile?
Per la parte urbana, abbiamo girato con una troupe ridotta, avevamo bisogno della massima flessibilità: andare dove potevamo, quando potevamo. Il primo giorno, c’è stata una sparatoria proprio vicino a noi, ho pensato che saremmo dovuti ripartire ma la troupe ha acconsentito a restare. Per quanto riguarda la parte dell’hotel, nella Repubblica Domenicana, abbiamo avuto un tempo terribile. Abbiamo dovuto persino cambiare delle scene per questa ragione, ma questo è precisamente ciò che amo delle riprese: gli incidenti capitano, non siamo divini, ed è meglio tentare di volgerli a favore del film piuttosto che soffrirne e basta.

Di cosa tratta il tuo prossimo progetto?
Una piccola società di produzione indipendente americana sta facendo una serie di film sul tema del sogno americano visto da registi stranieri. Ho proposto un progetto che volevo mantenere flessibile il più a lungo possibile, per avere il massimo della libertà durante le riprese in rapporto ad una trama su cui sto lavorando. Il tema sarà New Orleans ed i sopravvissuti del ciclone, tratterà del modo in cui si sta cercando di ricostruire, e di come questa volontà sia rivelatrice della società americana di oggi. Gli americani hanno riscoperto la povertà nel loro paese ed anche la discriminazione, dato che, di fatto, il razzismo nel sud è praticamente uno dei fondamenti della società.

Filmografia:
Verso il Sud (2005) LM
A tempo pieno (2001) LM
Risorse umane (1999) LM
Les Sanguinaires (1997) CM
Jeux de plage (1995) CM
Tous à la manif (1994) CM
Un été à Beyrouth (1990) Doc

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