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Jean-Stéphane Bron • Regista

Un piccolo genio elvetico

di 

- Al suo debutto nella fiction, Jean-Stéphane Bron si è fatto le ossa con successo nel campo del documentario. Nel 2003, Le génie helvétique ha conquistato più di 100mila spettatori svizzeri

Dopo numerosi documentari, firma il suo primo lungometraggio di fiction, Mon frère se marie [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Jean-Stéphane Bron
intervista: Thierry Spicher
scheda film
]
. Cosa l’ha ispirata in questa sua prima esperienza?

Jean-Stéphane Bron: Come documentarista, sentivo senza dubbio il desiderio di provare a fare qualcosa con gli attori. Ho messo molte delle mie energie nella direzione degli attori, per cancellare gli artifici, seguire le note stonate, annullare il gioco. Ero ossessionato, in maniera un po’ patologica, dal fatto che tutto dovesse suonare giusto. Che lo spettatore avesse un accesso diretto alla realtà brutale dei sentimenti.

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Quali erano le sue esigenze nella scelta degli attori?
Avevo delle idee precise sui corpi di questi personaggi. Per me, la verità della famiglia del film doveva venire dalla somiglianza fisica, dagli occhi, dai nasi, ma anche dalle espressioni, dai gesti, dagli sguardi. Per rafforzare questa credibilità immediata, ho voluto riunire una vera “famiglia di attori”, un po’ scoppiata, sbilenca, varia. Nel ruolo della madre e dello zio, ho cercato attori provenienti dal Vietnam, e non dal XIII° arrondissement a Parigi, come mi avevano vivamente consigliato per ragioni pratiche...

Perché ha scelto di non sottotitolare né doppiare i dialoghi vietnamiti?
Tutti i dialoghi sono stati scritti e tradotti e gli attori li hanno imparati. Visto che il punto di vista che abbiamo scelto era quello della famiglia svizzera, che non riesce a comunicare verbalmente con la famiglia vietnamita, lo spettatore non deve più capire cosa viene detto in vietnamita, ma intuire quello che esprimono i gesti e le espressioni. La forza visiva vince sulle parole.

A quale scopo avete scelto di far interpretare al fratello dello sposo il ruolo di intervistatore con la telecamera a mano, e di riempire il film di testimonianze dei membri della famiglia?
Eccetto alcuni indizi, qualche traccia, i dialoghi sono privi di tutte le spiegazioni sulle cause della rottura della famiglia. M’interessava che lo spettatore potesse appropriarsi di questa storia per proiettarci sopra la sua. Allo stesso modo in cui lo spazio è sempre diviso fra scena e backstage, il film stesso possiede i suoi "backstage", quelli delle parole e delle confidenze. La parola è raccolta dal fratello dello sposo, personaggio principale fuori campo, ma del quale si intuisce che tenta di mettere insieme i pezzi. Questo effetto di montaggio è, d’altro canto, apparente nella forma del film: si attacca una scena all’altra, un personaggio all’altro, un genere all’altro, dei disoccupati con un coro africano... Volevo che tutto questo fosse apparente, trasparente, un po’ strapazzato, colpito.

Come definirebbe il genere del suo film?
Direi che si tratta di un dramma che fa anche ridere. O una commedia che fa anche piangere. Meno, di un comico catastrofico. Concretamente, ci sono cose che si rompono e crollano in Mon frère se marie e altre, su un piano diverso, più emotivo, che tornano a posto.

... e la sua morale ?
La famiglia è morta, viva la famiglia! Ciò detto, se una morale esiste, risiede nel tentativo di ricostituire una famiglia “alta”, allargata, che si compone intorno a ruoli diversi da quelli di padre, madre e figli, ma più simile ad una comunità particolare di esseri umani che la gogna in cui si sta cercando di chiuderla attualmente. Il discorso politico attuale si fonda su valori piuttosto reazionari, come se gli ultimi 30 anni non fossero stati che una enorme devastazione delle fondamenta della famiglia e della coppia... L’altra morale insita nel film, è che ognuno di noi torna alla sua solitudine con la coscienza che il proprio destino è legato agli altri, anche se è difficile. Se il film declama la fine della famiglia, instilla però la nozione di comunione di destini, di fraternità un po’ ammaccata, ma comunque fraternità...

La commedia è sempre parte dei suoi progetti?
Sì, spero, è il registro nel quale vorrei trovare il mio percorso. Ho in progetto una commedia ecologica che dovrebbe svolgersi in Groenlandia. In un luogo del mondo in cui fa drammaticamente sempre meno freddo... C’è solo l’imbarazzo della scelta.

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