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Bela Tarr • Regista

“Captare l'umano con la sua anima”

di 

Primo regista ungherese selezionato in concorso al festival di Cannes dal 1988, un Bela Tarr circondato dalla sua squadra al completo ha svelato alcuni segreti della realizzazione del suo film The Man from London [+leggi anche:
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(leggi l'articolo). Alcuni passaggi della conferenza stampa.

Cineuropa: Come ci si sente in concorso a Cannes, dopo tutte le peripezie che hanno segnato la produzione di The Man from London?
Bela Tarr: Il momento più difficile è stato quello della perdita di Humbert Balsan, una tragedia per la produzione ma anche personale, per la scomparsa di un amico e di un combattente del cinema al quale il film è dedicato. C'è voluto molto tempo per rimettere in piedi il progetto, ma nessuno ha abbandonato la nave e nel mondo in rovina in cui viviamo, questa solidarietà scalda il cuore.

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Ha introdotto nel film altri valori morali rispetto a quelli presenti nel romanzo di Georges Simenon?
Non volevo riprodurre esattamente il libro. Attraverso il personaggio principale di Maloin, il film gira intorno alle questioni della solitudine e della tentazione. Quest'uomo è confrontato con il sottile confine tra l'innocenza e la complicità criminale. E' arrivato al punto di averne abbastanza di tutto: il suo isolamento, una vita senza prospettive, le relazioni con il suo entourage divenute quasi meccaniche. La tentazione di una nuova vita s'impadronisce di lui, ma fallirà. La cosa davvero interessante nella storia non è il denaro nella valigia, ma la dignità umana.

Il film conta solo 29 inquadrature in 2 ore e 22 minuti e comincia con 40 minuti composti da cinque inquadrature soltanto, però conta incessanti movimenti di camera. Come ha preparato questa vera e propria coreografia?
Sapevo perfettamente quello che volevo fare, prevedo tutte le inquadrature diversi mesi prima delle riprese. La composizione e il ritmo sono determinati dalla monotonia dalla giornata lavorativa di Maloin. Lo seguiamo senza sosta e vediamo il mondo con i suoi occhi. Ma la ripetizione del suo viavai assume connotati nuovi con la crescita della tensione e tutto si trasforma insensibilmente. Volevo che la macchina da presa fosse sempre alla ricerca dei visi e soprattutto degli occhi, e che seguisse tutti i segnali di meta-comunicazione. Rispetto ai miei film precedenti, penso di avvicinarmi più a un cinema puro. Al di là del racconto, ci si concentra sull'individuo e si possono usare i suoi occhi, le sue orecchie e il suo cuore per captare con la sua anima quello che c'è di umano.

In The Man from London l'atmosfera gioca un ruolo molto importante. Questo è dovuto alla sua origine est-europea?
Non è una questione geografica, ma di sensibilità. Abbiamo tutti una sensibilità sociale, l'umiliazione ci ferisce e ogni persona che non può avere una vita soddisfacente soffre, a prescindere dalla parte del mondo in cui vive. Anche se nel mio lungometraggio il luogo (la città corsa di Bastia) è tanto importante quanto i personaggi, con il mare e il porto sempre sullo sfondo. D'altronde, non trovo che il film sia triste, semplicemente evoca una realtà di cui bisogna tenere conto. Il semplice fatto di realizzare un film è un segno di ottimismo ed esso termina su un viso, un dettaglio per me molto significativo.

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