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LA VALLETTA 2018

Recensione: The Poetess

di 

- Il documentario dei tedeschi Stefanie Brockhaus e Andreas Wolff ritrae la situazione attuale del mondo musulmano attraverso la prodezza della poetessa Hissa Hilal

Recensione: The Poetess

Nel 2010, il concorso televisivo trasmesso negli Emirati Arabi Uniti, Million’s Poet, il Got Talent della poesia tradizionale araba, ha visto qualcosa di inaudito nella sua storia. Per la prima volta, una donna entrò a far parte della selezione dei concorrenti, finendo per partecipare alla finale. La saudita Hissa Hilal, che aveva già pubblicato poesie con lo pseudonimo di "Remia", sfidò le ferree convenzioni della società patriarcale e religiosa della regione per alzare la voce ed essere ascoltata. The Poetess [+leggi anche:
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, diretto dai tedeschi Stefanie Brockhaus e Andreas Wolff, documenta questo momento importante nella lotta contro l'egemonia del machismo e della religione nel mondo arabo, e lo fa attraverso la voce della stessa Hilal, che si presta a parlare non solo della sua esperienza personale, ma di tutto il contesto storico-sociale che la precede e la circonda.

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Il documentario, presentato l’anno scorso alla Settimana della Critica di Locarno e ora selezionato nella Competizione Documentari del 4° Festival di La Valetta, utilizza la prodezza emblematica della donna per ritrarre l'attuale società del mondo arabo. Il concorso televisivo è quindi il punto di partenza utilizzato da Brockhaus e Wolff, con inserti che mostrano Hilal quando si presenta alle audizioni coperta da un velo integrale (suggerito da suo marito, un giornalista che sostiene la sua causa, per evitare ritorsioni nel suo entourage), che le permette a malapena di leggere la sua poesia e di trovare l'uscita dal palco. Mano a mano che il concorso procede, Hilal lo sostituisce con un niqab, che almeno le permette di vedere attraverso un'unica fessura. Le sue poesie cominciano a far storcere le bocche quando parlano dell'atteggiamento negativo degli uomini nei confronti delle donne e finiscono per guadagnarle le minacce di morte degli estremisti quando si occupano di fatwa e di sentenze islamiche accusate a volte di fomentare il terrorismo.

Le immagini del concorso sono accompagnate, in una disposizione dal ritmo discutibile, da un tallonamento più intimo della poetessa, in auto, nei centri commerciali e nell'hotel (in una sequenza interessante nella stanza, vengono mostrati solo i piedi delle donne e non il resto del corpo, quando non sono coperte dal velo). Hilal, che partecipa ampiamente anche con dichiarazioni rivolte alla videocamera, si mostra sicura e categorica nel difendere le sue idee, scagliandole contro le ingiustizie e l'estremismo, e proteggendole dietro il suo amore puro per l'Islam.

È a quelle parole, e alle immagini d'archivio, che Brockhaus e Wolff fanno ricorso per spiegare l'attuale società islamica, dai liberali anni '70 alla perdita delle libertà, passando per il boom del petrolio e del materialismo, ed eventi come l’occupazione della Grande Moschea della Mecca nel 1979, che portò all’ascesa al potere dei fondamentalismi. Questa decisione mostra che il documentario offre di più quando si concentra sulla voce di Hilal, rispetto a quando vuole raccontare l'intera storia dell'Islam in pochi minuti; qualcosa che, tuttavia, non sminuisce il suo statuto di documento altamente ispiratore.

Il documentario, prodotto da Brockhaus/Wolff Films, è venduto nel mondo da CAT&Docs.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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