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HOT DOCS 2023

Recensione: The Hearing

di 

- Il film di Lisa Gerig mette in discussione il processo di asilo del suo Paese facendo rivivere la traumatica audizione a quattro richiedenti

Recensione: The Hearing

Un confronto serrato tra Europa e rifugiati, una sorta di psicodramma messo in scena per esplorare emozioni e vissuti personali che simboleggia il problema della risposta occidentale alla crisi dei migranti, i limiti di una difficile gestione. The Hearing è il primo lungometraggio documentario della regista svizzera trentaduenne Lisa Gerig, il cui film di tesi Zaungespräche era uno sguardo radicalmente soggettivo sulla situazione delle persone detenute nel centro di deportazione di Zurigo.

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Hot docs EFP inside

Con The Hearing, nella selezione di European Film Promotion (EFP) The Changing Face of Europe al Hot Docs, Gerig ha voluto giocare ad un gioco crudele ed emozionale, però condotto con padronanza del mezzo filmico, facendo rivivere a quattro richiedenti asilo la loro audizione in Svizzera. Si tratta di quattro persone con storie diversissime, che hanno dovuto far riemergere i loro ricordi più traumatizzanti per convincere i funzionari della Segreteria di Stato per la Migrazione (SEM) della necessità di fuga dal Paese di provenienza. All’attivista politico del Camerun Pascal Onana, che dopo un intervento alle Nazioni Unite a Ginevra sulla guerra civile nel suo Paese ignorata dalla comunità internazionale è stato arrestato, ferito, minacciato, la regista ha chiesto di leggere nuovamente il suo discorso: “Oggi sono la voce di quelli che non hanno voce…”. Ma sembra che la sua stessa voce e quello che ha subìto non siano sufficienti per l’asilo in Svizzera, la nazione neutrale per antonomasia. La battagliera nigeriana Vittoria Innocent venduta dai suoi genitori a cui i valutatori del SEM devono registrare quante volte si è asciugata le lacrime mentre racconta un’esistenza infernale. L’attivista transgender indiana Living Smile Vidja descrive invece l’intervento per il cambio del sesso con anestesia parziale e la “semplice” e cruenta evirazione del pene e poi le persecuzioni della polizia. Il giovane afgano J. Sael rievoca con difficoltà le imboscate tese dai capi religiosi del suo villaggio a causa del suo dissenso.

Vedere i richiedenti asilo fare una pausa pranzo assieme a intervistatori, interpreti e responsabili del protocollo è come osservare una compagnia teatrale, con soldati con divise di eserciti differenti tutti allo stesso tavolo. Poi le parti si invertono. Il gioco delle parti continua. I dipendenti del SEM devono rispondere ai richiedenti asilo. Come ci si senta ad aver il potere di decidere del destino degli altri.  “Sei sicuro di poter riconoscere se una storia sia vera o falsa?” Loro si difendono e non vogliono essere confusi con l’autorità e le regole burocratiche che applicano: “Mi sento nella posizione di dare l’opportunità a qualcuno di esprimersi per ottenere lo status di rifugiato”. Si discute di ricordi, che non sono registrazioni di un’esperienza ma un processo che si sviluppa nel tempo.

La pratica catartica di mettere in scena prima se stessi e poi di recitare letteralmente il ruolo di chi sta dall’altra parte della scrivania consente alla regista di mettere in discussione il processo di asilo del suo Paese, le sue procedure, la sua efficacia (articolo 7 del regolamento SEM: “Chiunque faccia richiesta di asilo deve provare o almeno dimostrare con verosimilmente lo status di rifugiato”). Pascal Onana dà la migliore descrizione di quella sensazione vertiginosa di essere in balia del giudizio di qualcuno. “Devi raccontare tutti di te, sei nudo davanti a loro. E chi ti ha tolto i vestiti non te li restituisce. Ti manda solo per la città in attesa di un verdetto”. Lui, che era certo che lo avrebbero capito e che avrebbe avuto una nuova vita.

The Hearing è prodotto da Ensemble Film GmbH in coproduzione con la SRF. La distribuzione in Svizzera è curata da Outside the Box mentre le vendite internazionali sono affidate a Rise and Shine.

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