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NEW HORIZONS 2023

Recensione: Bones and Names

di 

- Il debutto alla regia di Fabian Stumm si interroga in maniera profonda sulle relazioni e sulla vicinanza tra le persone

Recensione: Bones and Names
Magnus Mariuson, Susie Meyer e Fabian Stumm in Bones and Names

Bones and Names inizia come la storia di una coppia che ha una relazione di lunga durata nella scena artistica berlinese. Boris (l'attore-regista Fabian Stumm) è un attore che è appena stato scritturato in un dramma sentimentale, mentre Jonathan (il tenero Knut Berger) è uno scrittore che sta lavorando al suo prossimo libro. Per entrambi gli artisti c'è un elemento di autobiografia nel lavoro che svolgono, e la commistione tra realtà e finzione nelle rispettive professioni è inevitabile. Tuttavia sembrano incrociarsi, più che incontrarsi, attraverso questa sorta di vicinanza artistica. Jonathan ridefinisce il suo approccio alla scrittura in un manoscritto segreto su una coppia attore-scrittore, mentre Boris si immedesima un po' troppo nel ruolo cinematografico per cui sta provando. Le relazioni sono tattili e ribollono dall'interno, ma quando le frustrazioni della coppia vengono alla luce, lo spettatore viene investito da un'ondata di tenerezza per gli esseri umani imperfetti sullo schermo. Sebbene il film sia già stato presentato in anteprima alla Berlinale, il fatto che sia incluso tra le proiezioni della sezione Discoveries di New Horizons la dice lunga sulla sua ricchezza tematica ed estetica: il sottile accumulo di picchi emotivi del film lo rende degno di essere visto più di una volta.

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Ciò che è chiaro in questo primo lungometraggio è che l'attore cinematografico e teatrale Stumm ha il controllo del suo film, ma sa bene che non può monopolizzare tutto. Una delle cose che rende le sequenze di prova un luogo di scoperta comune è il suo talento nel trovare il giusto ritmo e nel tirarsi indietro quando necessario. Il fatto che il film nel film (quello per il quale Boris è stato ingaggiato) sia un progetto diretto da una donna dà spazio a una prospettiva distanziata che rispecchia in modo curioso la sua, senza sembrare un semplice scambio di genere. I momenti in cui la regista francese Jeanne (Marie-Lou Sellem) è esigente con i suoi attori ci danno un'idea del suo temperamento e della sua disposizione personale nei confronti del tema: le conseguenze negative di un matrimonio eterosessuale e lo sbocciare di una relazione gay.

Stumm è un regista dal tocco delicato, ma la sua visione artistica è abbastanza decisa da non disperdersi – la macchina da presa contemplativa di Michael Bennett completa i molteplici episodi che compongono il mosaico di storie del film. Josie (Alma Meyer-Prescott), la nipote di Jonathan, di nove anni, non può fare a meno di cacciarsi nei guai: ruba uno shampoo, adesca online un ragazzo più grande, e queste voglie di ribellione si riflettono in qualche modo nella calma e nella compostezza degli adulti. In questo modo, Bones and Names è giocoso e divertente, e ci ricorda che spesso ci prendiamo troppo sul serio.

C'è una scena che cattura la potenza emotiva dell'intero film e che è giustamente relegata alla sala prove. In essa si vede Jeanne sullo schermo che incoraggia Boris a mettersi in fila tra la moglie e il fidanzato, e procede a interrogare i tre, uno dopo l'altro, su cosa provino in una simile disposizione orizzontale. L'uso del blocco per sistemare gli attori in una stanza non descritta è quasi teatrale, ma i lenti movimenti della macchina da presa estraggono una particolare energia cinematografica da una scena che è sia scritta che improvvisata (in quanto prova fittizia di un copione sul cuore spezzato), ma che, alla fine, è un universo a sé stante magistralmente assemblato. Senza dubbio, il futuro di Stumm come regista, un futuro finemente in sintonia con le sensualità e le mancanze umane, non è meno promettente del suo presente come attore.

Bones and Names è prodotto dalla compagnia tedesca Postofilm, e Salzgeber & Co. Medien cura le vendite mondiali.

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(Tradotto dall'inglese)

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