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TORINO 2023

Recensione: Marianne

di 

- L'esordio alla regia di Michael Rozek è un confuso omaggio all’arte drammatica di Isabelle Huppert tra teatro dell’assurdo e parodia maldestra del cinema d’autore

Recensione: Marianne
Isabelle Huppert in Marianne

In Marianne di Michael Rozek, presentato fuori concorso alla 41ma edizione del Torino Film Festival, Isabelle Huppert occupa lo schermo per un’ora e mezza, seduta su un divano o di fronte a uno specchio, recitando in inglese una sceneggiatura scritta dal regista apposta per lei in un monologo lunghissimo, irritante e vagamente pretenzioso. Un esercizio di stile che imbriglia una delle attrici più versatili del cinema mondiale in una performance immobile e manieristica, che secondo le parole del regista aiuterà il pubblico a guardare “il volto di Isabelle e ascoltare attentamente tutto ciò che ha da dire”. Una frase che la dice lunga sul contenuto del monologo della Huppert, degno di essere ascoltato, secondo Michael Rozek soltanto con un artificio tecnico che costringe lo spettatore a un’ora e mezza di parole vuote e filosofia spicciola sul senso della vita e del cinema, sull’opera di Tarkovskij e Bergman, su un ipotetico film in cui la Huppert dovrebbe incarnare un personaggio dal nome di Marianne Lewandowski alle prese coi problemi della sorella e della nipote.

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Ancora secondo il regista il film ‘vuole catturare esattamente il momento in cui stiamo vivendo’, una formula vacua che denota una certa mancanza di idee nella scrittura di un film che ha una vita più lunga di quella che dovrebbe, ammesso che un film così debba venire alla luce. Ci si chiede infatti quale sia il senso dell’operazione: un film per i fan di Isabella Huppert? Uno sberleffo al cinema narrativo? Un solipsismo che va ad affollare la già nutrita schiera di film inutili della storia del cinema? E perché scrivere un monologo in inglese per Isabelle Huppert, una delle attrici che più incarna più di tutti un certo spirito francese irriverente e nonchalant, per di più aggiungendo degli imbarazzanti sottotitoli? Domande che affolleranno la mente dello spettatore e che lo abbandoneranno senza risposta.

Certo Isabelle Huppert ha buon gioco a ricalcare l’estesa gamma dei diversi registri usati nei personaggi interpretati nei film precedenti, sempre più ammantati da un certo cinismo o dotati di una spiccata forza interiore. Ma più che uno studio sulla recitazione Marianne si rivela come un deliberato studio sulla noia e sull’attesa che accada qualcosa, tant’è che a un certo punto la Huppert deve letteralmente gridare “Wake Up!” allo spettatore, cosciente di quanto il suo monologo sia soporifero, in un gioco di meta-linguaggio che pervade tutto il film e puntellato dagli insistenti sguardi in macchina dell’attrice, alternati a pause imbarazzanti che sembrano denotare come l’attrice (anche lei!) sia frustrata dalla noia. Questa lunga spiegazione di cosa sia cinema, la vita e del sottile limite che separa realtà e finzione, col passare del tempo si fa sempre più pedante trasformandosi in una lenta agonia della quale non si può che desiderare la fine. In una cosa però Michael Rozek ha ragione: malgrado nostro e nonostante tutto, anche questo è cinema. Ma non scomodiamo i fratelli Lumière.

Il film è prodotto da Ciné@ e da Dark Dreams Entertainment mentre Hyde Park International si occuperà delle vendite internazionali.

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