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FILM / RECENSIONI Italia

Recensione: Flaminia

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- L’esordio alla regia della stand-up comedian Michela Giraud è una satira di una certa borghesia romana che si trasforma in un dramma familiare molto personale

Recensione: Flaminia
Rita Abela e Michela Giraud (a destra) in Flaminia

“Vi diranno che è una storia vera: non credetegli”. Così recita, scherzosamente, il sottotitolo di Flaminia, il primo film di e con Michela Giraud, nelle sale italiane dall’11 aprile con Vision Distribution. Nel raccontare la borghesia di Roma Nord – con tutto il suo corollario di personaggi grotteschi, snob e burini arricchiti – e il suo rapporto con una sorella difficile, la 36enne stand-up comedian italiana in rapida ascesa (trasmissioni tv, ruoli in film, al suo attivo ha anche uno speciale su Netflix) mischia realtà e finzione, e ci tiene a non specificare cosa sia vero e cosa no di ciò che mette in scena nel suo film.

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Roma Nord, ossia la Roma dei quartieri bene popolati da avvocati, notai e chirurghi plastici, è il “luogo dell’anima” in cui sguazza la protagonista, Flaminia (Giraud), ma in realtà è un pesce fuor d’acqua. Lei, proveniente da una famiglia arricchita, fa di tutto per sembrare come le sue amiche –sfacciatamente ricche, ossessionate dalla forma fisica, mai un capello fuori posto – e soprattutto per essere all’altezza di Alberto (Edoardo Purgatori), figlio di un importante diplomatico e suo promesso sposo: un matrimonio a cui i genitori di Flaminia (Antonello Fassari e Lucrezia Lante della Rovere, secondo la quale “la sciatteria è un crimine”) tengono molto, vedendovi un’imperdibile occasione di scalata sociale.

Il giorno delle nozze si avvicina, Flaminia cerca in tutti i modi di evitare brutte figure davanti ai suoi futuri, e molto severi, suoceri (Andrea Purgatori, nella sua ultima apparizione in un film, e Nina Soldano, glaciale). Ma quando tutto sembra pronto, ecco ripiombare nella vita di Flaminia sua sorella Ludovica (Rita Abela), una corpulenta ragazzotta affetta da una forma di autismo e cresciuta in una comunità terapeutica, da cui è stata momentaneamente allontanata perché ha dato fuoco a un materasso: una sorella praticamente impresentabile.

Ludovica è una scheggia impazzita, mangia quintali di carboidrati, fa gli occhi dolci al suo futuro cognato e non perde occasione per strappare un microfono e mettersi a cantare in modo sguaiato. Le amiche di Flaminia, ovviamente, sono inorridite; i futuri suoceri, pure. Flaminia aspetta solo il momento di riportarla in istituto, nel frattempo cerca di contenerla, nasconderla, disconoscerla. Ma ad un certo punto, sarà proprio questa sorella problematica, istintiva e pura ad aprire gli occhi alla nostra protagonista e a farle vedere quanto è ipocrita il mondo in cui è imprigionata, compreso il suo futuro matrimonio.

Nel suo film, Giraud mostra una vena comica tagliente quando si tratta di dipingere un certo ambiente sociale, ma poi prende la strada del dramma intimo che invita lo spettatore all’empatia. Lo stacco tra la prima e la seconda parte, e tra un registro e l’altro, è forse troppo netto. Conoscendo il sarcasmo dell’autrice – talvolta tacciata anche di eccessiva volgarità per i suoi stand-up – si vorrebbe ridere di più; invece, alla fine, Flaminia è una commedia che si prende molto sul serio, ma probabilmente non poteva essere altrimenti visto il soggetto tanto delicato e personale.

Flaminia è una produzione Eagle Original Content e Pepito Produzioni in collaborazione con Vision Distribution e con Prime Video.

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