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FILM / RECENSIONI

Il Divo

di 

- Un argomento difficile – i capitoli più oscuri della vita politica italiana che non si sono mai chiusi veramente – affrontato con un linguaggio cinematografico libero e modernissimo

Deflagrante come una bomba, impetuoso come un fiume in piena, è arrivato sulla Croisette Il Divo [+leggi anche:
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scheda film
]
di Paolo Sorrentino, ed è ripartito al termine del Festival di Cannes 2008 con il Premio della Giuria.

Imboccata definitivamente la strada del grottesco e dell'iperbolico, Sorrentino ha dilatato il suo linguaggio cinematografico già sperimentato con L'amico di famiglia per raccontare quarant'anni (grotteschi e iperbolici) di Storia italiana attraverso il personaggio che più la rappresenta, Giulio Andreotti: democristiano sette volte presidente del consiglio, soprannominato Belzebù, l'Eternità, La Prima Lettera dell'Alfabeto, l'Indecifrabile, Il Divo Giulio, è stato accusato di avere rapporti con logge massoniche segrete (la P2 di Licio Gelli) e con la Mafia siciliana, inquisito per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, è apparso 26 volte davanti alle commissioni parlamentari d'inchiesta. La sua frase preferita, rubata a Talleyrand: "Il potere logora chi non ce l'ha".

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Il film, che si apre con un glossario che ironicamente dovrebbe aiutare la comprensione da parte dello spettatore, parte subito con la presentazione della corte andreottiana, i membri della sua corrente politica: Cirino Pomicino sempre circondato da belle donne; Vittorio Sbardella detto lo squalo; Giuseppe Ciarrapico; Franco Evangelisti; Salvo Lima, che verrà ucciso da Cosa Nostra. E continua con una carrellata infinita di personaggi che lo spettatore non italiano farà fatica a ricordare: alti prelati, generali, giudici e pentiti di mafia. Al centro lui, il Divo (interpretato da Toni Servillo con orecchie appuntire e gobba sulla schiena), con le sue terribili emicranie e le sue trame occulte.

Le battute - tratte dal repertorio dello stesso Andreotti, uomo dal sarcasmo atroce - e le situazioni tragicomiche si susseguono incalzanti, ancor più deformate da una regìa ingegnosa e matura, e sottolineate da una buona scelta di musica rock. Lo stile è quello urgente e farsesco del Elio Petri di A ciascuno il suo , Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (premiati a Cannes nel1967 e 1970) Todo modo. Ne esce il ritratto di un uomo grigio e non troppo intelligente (lo dice la stessa moglie Livia, tenera ma severa), la cui carriera politica sembra essere stata votata al male.

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