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FILM / RECENSIONI

Bullhead

di 

- Il regista belga Michael R. Roskam racconta il traffico degli ormoni, il doping animale e la mafia degli allevamenti nel suo debutto presentato nella sezione Panorama alla Berlinale 2011.

L'immagine che resta con noi di Bullhead [+leggi anche:
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, film su allevatori di bestiame fiamminghi e apprendisti mafiosi, è la nuca di Matthias Schoenaerts. Che ha un collo grande come un braccio, ben collocato fra grandi scapole, e sostiene una testa squadrata che trasuda determinazione e testardaggine, appena tradite da una leggera inclinazione. Jacky (Schoenaerts), le cui esperienza vengono narrate in tutta la loro varietà, ha infranto tutti i suoi limiti: è una bestia capace di uccidere per gelosia, del tutto priva di scrupoli, ma diventa una creatura piccola e fragile davanti allo specchio. Dentro di sé ha la ferita antica di un essere umano che non sarà mai divino e si dà la colpa della sua impotenza. Bullhead è la tragedia di un uomo che non ha chiesto di nascere, ma è stato costretto a vivere.

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Dall'alba al tramonto, la mancanza di significato del mondo segue il suo ritmo spensierato. "Avanti, ancora avanti!": Schoenaerts (il giovane che si perde, come Pollicino, nel labirinto della comunicazione diretta in Pulsar [+leggi anche:
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di Alex Stockman) spinge il dramma dei 'boers' (gli allevatori fiamminghi) con il suo fisico robusto, appositamente creato per il ruolo (è ingrassato di 27 chili).

Ma anche i piccoli allevatori e contadini sognano auto sportive, vacanze al sole e ville con la piscina. E se bisogna dopare i vitelli per farli ingrassare più velocemente, ridurre i costi e arricchirsi rapidamente, allora ne vale la pena - anche se alcuni prodotti miracolosi non sono del tutto legali. Tutti sanno, d'altra parte, che le linee guida per la salute vengono scritte da pubblici amministratori che non sanno nulla della realtà.

Col suo debutto Bullhead, Michaël R. Roskam ci porta in un tour guidato delle Fiandre: non le benestanti cittadine vicino Bruxelles, ma il distretto di fattorie semi-industriali di Limburg, dove lo sterco degli animali non abbandona mai le suole degli stivali, e resta attaccato ai prati e ai campi.

Pittore nell'animo e nella formazione, Roskam si è appassionato al cinema guardando le opere di Martin Scorsese, Brian De Palma, Akira Kurosawa e Orson Welles, e qui tributa un omaggio ai suoi maestri. Ci sono pugni, combattimenti, buoni e cattivi, criminali dal cuore d'oro, giusti in realtà imbroglioni, amicizie tradite, storie d'amore incomprese, colpa e redenzione. Questi temi, che nei film brutti generano noia sciropposa e in quelli buoni un'aura di sensibilità e umanità, danno a Roskam l'occasione d mostrare il suo talento. Attraverso le immagini, meticolosamente frammentate come strisce di un fumetto, la storia avanza lentamente, a spizzichi e bocconi , fra presente della narrazione e il passato dell'infanzia.

Lo squallore viene glorificato in Schoenaerts, troppo buono per essere una bestia. Colpito al cuore, scottato sotto la corazzo dell'insensibilità, attenua il dolore con le droghe per svuotare la testa, ma nei suoi occhi si vede la promessa dell'uomo che sarebbe stato se si fosse costruito una vita lontano dalla sua fattoria di Limburg.

La bella, Lucia (Jeanne Dandoy), terribilmente ordinaria, con sogni semplici e terreni, è generosa e nobile d'animo. È il tipo di donna si sarebbe donata anima e cuore se non avesse avuto paura di vedere la sua ingenuità saccheggiata e calpestata. Questa fiaba disincantata e modernissima si scalda con la sete di giustizia fino quasi a esplodere.

Fonte: Cinergie

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