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FILM / RECENSIONI

Jimmy P.

di 

- Arnaud Desplechin si apre a nuovi orizzonti con un film raffinato e rasserenante in cui brilla il talento di Benicio del Toro e Mathieu Amalric.

Il cinema altamente psicanalitico di Arnaud Desplechin doveva arrivare prima o poi al cuore della questione del dolore e dello squilibrio psichico che permea tutta la sua filmografía. Succede in Jimmy P. [+leggi anche:
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, presentato in concorso al 66mo Festival di Cannes, che esplora le origini del confronto e della guarigione dalle ferite dell'anima attraverso il faccia a faccia, nel 1948 in un ospedale del Kansas, tra un indiano Piede Nero e il pioniere dell'etnopsichiatria, Georges Devereux.

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Incarnati col talento e il carismo ben noti di Benicio del Toro e Mathieu Amalric, i due personaggi trasportano il cineasta francese in territori sconosciuti, sia culturalmente (negli Stati Uniti e in lingua inglese) che in un messaggio di pacificazione molto lontano dalla cupa crudeltà delle sue opere precedenti. Una calma che risuona nella raffinatezza della messa in scena e che dà al film un ritmo rasserenante, molto dialogato (dato il soggetto), ma che non si trasforma mai in una lezione di terapia. Concentrandosi sulla semplicità del rapporto paziente-dottore che si instaura tra i due individui appartenenti entrambi a una minoranza (un indiano disprezzato dai bianchi e un rumeno naturalizzato francese, le cui teorie avanguardiste vanno contro le convenzioni del suo ambiente professionale), Arnaud Desplechin opta per una certa purezza e ruota intorno alle cicatrici dell'anima e alla necessità di staccarsi dal passato, una ricetta che applica a se stesso con Jimmy P., iniettando un po' d'aria fresca nel suo cinema solitamente al limite del soffocamento. E come un simbolo di questo approccio completamente diverso, Mathieu Amalric, che faceva il pazzo per lo stesso regista ne I re e la regina [+leggi anche:
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(2004), passa stavolta dall'altra parte interpretando lo psicanalista.

Georges Devereux incontra James Picard al Winter Hospital di Topeka. Eccentrico appassionato delle culture indio-americane, è stato chiamato dal direttore della struttura per risolvere un caso spinoso di trauma psichico che ha colpito Jimmy, un Piede Nero che ha combattuto in Francia nell'esercito americano. Jimmy, divorziato e che non ha mai cresciuto la figlia tredicenne che ha avuto da un'altra donna, soffre di terribili mal di testa, capogiri e crisi d'ansia. Si è sottoposto a ogni tipo di test, ma è in perfetta salute. Rifugiatosi nell'alcol, viene ricoverato in un reparto dell'ospedale fino all'arrivo di Devereux. Durante i colloqui, uno al giorno, nasce un legame tra i due uomini, e i sogni, i segreti inconfessabili, le paure più radicate e le menzogne della vita di Jimmy saranno portate in superficie, condivise, valutate, esplicitate, dissezionate. Un tuffo nell'interpretazione da parte di "due uomini di buona volontà alla ricerca di un senso comune", che porterà alla guarigione.

Approcciando il film d'epoca con un rigore discreto, Arnaud Desplechin evoca senza insistenza le tematiche del razzismo anti-indiano, percepito più come parte del contesto che come soggetto specifico. Il regista lavora anche sul parallelismo tra i suoi due protagonisti che scavano in profondità e in solitudine, ognuno a modo suo, Jimmy nelle sue pene notturne e nel suo confinamento entro il cortile dell'ospedale, Devereux nelle sue notti di scrittura e di analisi scientifica dell'esperimento. Mischiando abilmente flashback della vita di Jimmy e sogni e incubi ricostruiti con sobrietà, il regista fa avanzare il racconto al ritmo dell'analisi (che passa attraverso il conflitto). Ma riesce a dare uno spazio equivalente anche alla vita privata di Devereux, con la visita e il soggiorno della seducente Madeleine (Gina McKee). Un equilibrio verso il quale tende anche inserendo scene in esterna, per portare lo spettatore fuori dal chiuso dei colloqui. Padroneggiando alla perfezione la forma e disponendo di un duo di attori di grande spessore, Desplechin si apre con Jimmy P. a nuovi orizzonti, più sereni, a una nuova frontiera che non conosceva ancora bene, ma dove il Grande Spirito degli Indiani l'accompagnerà, forse.

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(Tradotto dal francese)

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