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SOFIA 2017

Land of the Gods: una storia universale per insegnare che certe cose non cambiano mai

di 

- Un ottimo dramma ambientato in India, girato in lingua locale e con attori del posto, segna il ritorno di un veterano del cinema, il serbo Goran Paskaljević

Land of the Gods: una storia universale per insegnare che certe cose non cambiano mai
Victor Banerjee in Land of the Gods

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, l’ultima fatica del regista serbo Goran Paskaljević, un autentico veterano del cinema, è un film unico nel suo genere per almeno due motivi. Innanzitutto, si tratta della prima pellicola serba girata in India, con una troupe serba e attori indiani. È poi il primo film serbo ad essere stato selezionato da Amazon per una distribuzione globale in video on demand. L’opera, presentata in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival nella sezione Masters, potrà godere, prima del lancio in VoD previsto alla fine di aprile, dell’attenzione di altri festival, ma di una ben limitata distribuzione nelle sale cinematografiche. Cineuropa ha avuto la fortuna di vedere il film al Sofia International Film Festival.

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La storia portata sullo schermo da Paskaljević è semplice, locale e al tempo stesso universale. Scritta a quattro mani con l’attore principale Victor Banerjee (interprete in film come Passaggio in India e Luna di fiele) ha come protagonista un uomo che, dopo una vita quasi interamente trascorsa all’estero, fa ritorno al suo piccolo paese natio, sull’Himalaya, e scopre che laggiù certe cose non possono cambiare.

Dopo una splendida scena d’apertura ambientata nella città sacra di Haridwar, durante una cerimonia religiosa lungo le rive del Gange, ecco apparire Rahul Negi (Banerjee), impegnato in un lungo viaggio in taxi per raggiungere il luogo che un tempo chiamava casa. Il taxista (Raj Zutsi, già attore in The Millionaire [+leggi anche:
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) racconta al suo passeggero del monsone e della frana che un paio di anni prima hanno colpito la regione e causato migliaia di vittime. Da parte sua, Rahul si mostra stanco e ha un solo obiettivo in mente: rivedere per un’ultima volta il suo paese, la sua famiglia e la donna di cui un tempo era innamorato, Maya, prima di diventare per sempre cieco.

Presto si renderà conto di non essere benvenuto e, anzi, il suo ritorno farà riemergere antichi dissapori. Fatta eccezione per un suo vecchio amico (Avijit Dutt, nel cast di Kama Sutra), il guru del tempio locale e la nuova maestra (la bellissima Geetanjali Thapa) che vorrebbe modernizzare il villaggio, tutti gli altri abitanti vedono in lui una minaccia. Con un passo narrativo rallentato e meditativo, scopriamo come in passato Rahul abbia sfidato le tradizioni e sia stato per questo bandito dal paese. Il modello sociale del patriarcato e il sistema delle caste è insomma più vivo che mai, anche se il mondo fuori è in trasformazione e il villaggio conta sempre meno abitanti.

Firmando un’ambientazione semplice ma carica di emozioni, cui si aggiungono i dettagli del particolare contesto indiano, Paskaljević dirige quella che probabilmente può considerarsi la sua opera migliore dai tempi de La Polveriera (1998). La costruzione delle inquadrature da parte del fidato direttore della fotografia Milan Spasić riesce a rendere magnificamente il contrasto tra i superbi panorami dello Stato dell’Uttarakhand e la dura vita quotidiana sulle montagne. Un realismo accentuato dalla scelta di musiche e costumi locali tradizionali. L’unico elemento non locale, che tuttavia incarna la quintessenza dell’essere indiano, è il doppio riferimento al grande poeta e premio Nobel Rabindranath Tagore, che viene citato nei titoli di coda del film.

Paskaljević ha in passato già lavorato a produzioni anticonvenzionali, con riprese all’estero e avendo cura ogni volta di mostrare la cultura del luogo scelto per il set, nonché l’ambiente di provenienza dei suoi personaggi. Si pensi a film come Someone Else’s America (1995), o all’ambientazione irlandese in Il sogno di Harry (2001). Senza dimenticare Honeymooners, del 2009, che rappresenta il primo caso di coproduzione serbo-albanese. Con Land of the Gods, Paskaljević si spinge ancora più in là. Girata in sole cinque settimane in condizioni di riprese difficili e a basso costo, l’ultima opera del grande regista è, in definitiva, una grande storia indiana dal fascino universale.  

In collaborazione con

 

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(Tradotto dall'inglese)

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