email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

Michaël R. Roskam • Regista

Intervista

Cinergie ha incontrato il cineasta che ha entusiasmato il pubblico belga e il Panorama della Berlinale 2011 con il suo primo lungometraggio, Bullhead.

Cinergie: Rundskop [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Bart Van Langendonck
intervista: Michaël R. Roskam
scheda film
]
(titolo originale) e Bullhead (titolo internazionale)

Michaël R. Roskam: E' una parola un po' inventata, poco utilizzata, ispirata al termine "testina di vitello" in fiammingo. Il Rund è la carne nel piatto, è un prodotto. Bullhead, il titolo scelto in inglese, è molto adatto perché suggerisce il carattere estremamente testardo di una persona pronta a fracassarsi la testa contro un muro.

Il personaggio principale
Il suo istinto è fare del bene. Ma nonostante le sue buone intenzioni, una volta su due il risultato è cattivo, per lui o per altri. Queste reazioni gli fanno male: è sfortunato e non capisce il perché, visto che le sue intenzioni erano buone. E' la storia della rana e dello scorpione. Lo scorpione chiede alla rana di attraversare il fiume sul suo dorso perché non sa nuotare. La rana dice: "Sei matto, mi pungerai". Lo scorpione le assicura che sarebbe stupido fare una cosa del genere, perché in tal modo morirebbero entrambi. Cominciano la traversata, ma in mezzo al fiume lo scorpione punge la rana. Prima di morire, la rana chiede: "Perché lo hai fatto? Morirai anche tu". E lo scorpione risponde: "Lo so, ma è nella mia natura". Ci sono due forme importanti: sia che tu sia la rana che non ha i mezzi per difendersi dalle forze esterne, sia che tu sia lo scorpione che non ha i mezzi per difendersi dalle forze che vengono dall'interno.

La cultura e i demoni
Bisogna dare alla gente l'occasione di affrontare i propri demoni. Per me, è una funzione quasi biologica della cultura, dell'arte. Ce n'è bisogno: dopo aver mangiato, dormito, essersi scaldati, ci si guarda attorno e si comincia a spiegare le cose. Fa parte della nostra condizione.

Le Fiandre
Ho provato a dare alle Fiandre un piccolo tocco mitologico: una mitologia che proviene da una tradizione poetica, letteraria, artistica, pittorica del nostro passato. Per raccontare questa storia, vi erano già elementi come Hieronymus Bosch, Rubens, tutto quello che proviene dall'Europa del nord-ovest, Courbet per la fotografia, i naturalisti… Forse sono le mie influenze, giacché ho studiato pittura. Ho registrato le Fiandre di oggi con un occhio tradizionale, un occhio legato al mio passato culturale. Ho seguito l'idea di Scorsese: "Quando cominciate, parlate delle cose che conoscete". Niente è manipolato, né sul versante vallone, né su quello fiammingo: tutti i paesaggi sono sulla frontiera linguistica, li si attraversa.

La lingua
L'unico fiammingo normale che si sente nel film è durante il telegiornale. Jacky e la sua famiglia sono un po' caricaturali perché parlano un dialetto che solo 20 000 persone riescono a capire. Quindi bisogna tradurre per tutti gli altri.

La fragilità
Volevo un personaggio fine, piuttosto atletico, ma con uno scheletro debole. Che si vedesse che porta un peso letteralmente fisico sulle spalle, non solo psicologico ed emotivo. Che si vedesse nei suoi occhi la sua fragilità come in La Belle et la Bête di Cocteau.

fonte: Cinergie

Leggi anche

Privacy Policy