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“I festival siano di fatto la nuova distribuzione theatrical per i film indipendenti"

Rapporto industria: Distribuzione, esercenti e streaming

Francesca Breccia • Venditrice, Coccinelle Film Sales

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Abbiamo discusso del particolare modello di business della società di vendite e di com’è cambiato il mercato durante e dopo la pandemia

Francesca Breccia • Venditrice, Coccinelle Film Sales

Cineuropa ha incontrato Francesca Breccia, fondatrice ed agente di vendita della società italiana Coccinelle Film Sales. Durante la nostra conversazione, abbiamo discusso in particolare del modello di business dell’azienda, della sua politica editoriale e delle trasformazioni del mercato in atto dall’inizio della pandemia ad oggi.

Cineuropa: Potrebbe illustrare il modello di business e la politica editoriale di Coccinelle Film Sales?
Francesca Breccia: La nostra politica editoriale e il nostro modello di vendite è piuttosto diverso dalla maggior parte delle altre società di distribuzione internazionale, soprattutto perché noi prendiamo i film dal produttore solamente per 12 mesi dal momento della consegna. Dopodiché, il produttore è libero di continuare con noi o andare via, se non è contento dei risultati. Questo ci ha permesso di creare un rapporto di fiducia molto forte con i produttori con cui abbiamo lavorato, perciò tendono a tornare per i film successivi. La seconda differenza è che i nostri costi di distribuzione da recuperare sono molto bassi. Noi pensiamo che oggi la digitalizzazione, sopratutto nel mercato B2B permette di abbassarli, perché siamo una realtà piccola, con costi indiretti non troppo alti. Abbassando questi costi, riusciamo a recuperarli praticamente subito e dalla prima vendita. Da quel momento in poi, il produttore vede i profitti e non deve aspettare report per capire lo stato delle cose. Anche perché nel momento in cui recuperiamo questi costi, sarà il produttore a fatturare direttamente il nostro cliente e quindi avrà il cashflow direttamente nelle sue mani. A quel punto, noi fatturiamo la nostra commissione al produttore. Questa è la nostra policy. Editorialmente, lavoriamo molto con i film arthouse ed indipendenti da tutto il mondo. Hanno tutti un messaggio sociale ed indipendentemente dal fatto che questi siano una commedia, un film di genere, un dramma o un film LGBT. Ci deve sempre essere un messaggio di rilevanza sociale.

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In quanti siete?
Siamo in tre. Siamo io, una persona che si occupa delle questioni legali ed un’altra che si occupa dei festival. Ci appoggiamo poi ad una serie di consulenti esterni. Inoltre, abbiamo un laboratorio che si occupa dei materiali.

Quanti titoli gestite in media su base annua?
Non ne prendiamo tanti, proprio per il fatto che gestiamo il film solo per 12 mesi - anche se normalmente li rinnovano sempre e rimangono nel catalogo. Per questo trattiamo i film che prendiamo sempre come se fossero nuovi, portandoli ad ogni mercato e andando avanti con i festival per due, due anni e mezzo, fin dove possibile. In genere, comunque, gestiamo dai quattro ai sei film l’anno.

Quanto è grande il vostro catalogo, invece?
Abbiamo 25 film di fiction e 14 documentari.

Partecipate a livello produttivo o sostenete il finanziamento dei film?
Se utilizziamo questo modello di vendite di cui ti ho parlato finora, no, non diamo minimi garantiti. In alcuni casi, se ci sono dei film con un cast ed un regista davvero rilevanti a livello internazionale, possiamo considerarli. A quel punto però applichiamo il modello standard di policy di vendita. Questo è capitato forse solo una volta in tutti questi anni. Invece, entrare nel progetto presto – se i produttori hanno bisogno di noi – capita più volte ed offriamo aiuto per quanto riguarda i finanziamenti, specialmente se per fare domanda hanno bisogno di un agente vendita incaricato.

Com’è cambiato il vostro lavoro nel corso degli ultimi due anni e che aria tira nel mercato in questa fase post-pandemica?
Per quanto riguarda l’organizzazione della struttura non è cambiato nulla. Nasciamo come una società in remoto, sin da quando l’abbiamo fondata nel 2013. Per molti anni, abbiamo avuto collaboratori in altri paesi e le riunioni erano già online. Da questo punto di vista, eravamo già  pronti. Quello che è cambiato durante i due anni – sopratutto il primo è stato molto duro, con la chiusura dei cinema – [è che] i festival sono stati una risorsa importantissima perché sono forse quelli che si sono mossi più velocemente di tutti. Subito hanno proposto screening virtuali, sfociando di fatto nella distribuzione on-demand. Il nostro rapporto con i festival si è rafforzato tantissimo. Continuiamo a rafforzarlo perché pensiamo i festival siano di fatto la nuova distribuzione theatrical per i film indipendenti. Laddove i film prima uscivano nelle sale – ed adesso capita meno spesso perché c’è più attenzione prima di comprare e si acquisiscono solamente determinati film con determinati premi – il festival diventa una vetrina importantissima, anzi una vera e propria forma di distribuzione theatrical.

Che attività avete in programma per il mercato di Berlino?
Abbiamo due market screening – Narcosis [+leggi anche:
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, candidato agli Oscar per i Paesi Bassi ed un film ucraino, How Is Katia? [+leggi anche:
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intervista: Christina Tynkevych
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– e porteremo due nuovi titoli in post-produzione.

Come lavorate nel perseguire la diversità all’interno della vostra società ed in termini di contenuti?
In termini di staff, negli anni abbiamo collaborato con persone dalla Cina, dall’America Latina, dalla Polonia… Lavorando già da remoto, possiamo facilmente spaziare da questo punto di vista. In termini di contenuti, la nostra line-up parla da sola: abbiamo film da Israele, dall’Iran, dall’America Latina, dall’Europa, spaziando anche fra i generi. Ad esempio, quando fai domanda per partecipare ad alcuni festival ti chiedono di identificare il tuo film attraverso delle categorie come “Europeo,” “ispanico,” “transgender,” “gay,” “indigeno” e così via. La cosa di cui andiamo più orgogliosi è che ci troviamo a poter “mettere la crocetta” ovunque poiché il nostro catalogo è davvero trasversale. Del resto, noi pensiamo che la varietà assicuri buone storie.

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