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Claude Lelouch • Regista

Europa: istruzioni per l'uso

di 

- Il presidente degli ‘Incontri di Beaune fa un bilancio sullo stato delle cose della cinematografia europea. Uno sguardo sui rapporti con l'industria e sui cineasti di nuova generazione

Gli ‘Incontri cinematografici di Beaune’ sono stati occasione per registi, produttori e operatori del settore di discutere su alcuni tra gli argomenti che interessano in maniera particolare il mondo della produzione cinematografica attuale. La fragilità del sistema corrente di finanziamento, nuove forme di investimento, futuro della televisione digitale via cavo e difesa della diversità culturale in vista del nuovo quadro dell’Unione Europea.
Cineuropa.org ha intervistato il regista e produttore Claude Lelouch, presidente di quest’edizione degli ‘Incontri’ di Beaune.

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Monsieur Lelouch, un bilancio. Ci sono stati avanzamenti concreti sui problemi che riguardano gli operatori?
“Sì. Si sono fatti passi avanti importanti ogni anno. Penso che se non ci fossero gli ‘Incontri di Beaune’, si andrebbe avanti meno velocemente. Queste dodici edizioni di Bearne hanno fatto guadagnare tra i cinque e i sei anni alla storia del cinema. E’ per questo che li considero fondamentali e che vi parteciperò fino a quando la mia salute me lo permetterà”.

Sulla questione del finanziamento al cinema francese si fa un discorso duplice. Abbastanza ottimista da parte delle istituzioni, più drammatico per gli altri professionisti del settore. Cosa ne pensa lei?
“Credo ci sia un grosso lavoro da fare con gli esercenti. Bisognerebbe proprio parlare con loro. Bisognerà riappropriarsi del diritto al ‘passaparola’ che abbiamo perso. E poi ci sono altre forme di finanziamento da trovare. In occasione degli ‘Incontri’ abbiamo parlato di quelli che conoscevamo ma non di nuovi investitori. Questo è un peccato perché il cinema interessa tutti, appassiona tutti e si possono andare a cercare finanziamenti in quei settori che fino a oggi non si sono ancora interessati al cinema o non ne sono stati mai coinvolti”.

Per quel che riguarda le coproduzioni europee pensa che costituiscano un potenziale da sviluppare o una minaccia, per esempio riguardo alla dislocazione dei set?
“Non c’è alcuna minaccia. Esistono solo casi particolari nel cinema. Ci si può lanciare in una grande produzione se questo può aiutare lo sviluppo drammatico del film. Quello che conta è privilegiare sempre lo spettacolo. Se lo spettacolo cinematografico richiede una coproduzione bisogna farla. Se è un vincolo allora no. Ogni volta che si è davanti a un caso particolare bisogna porsi la domanda se il film ‘merita o no questo o quell’intervento?’ Esistono al giorno d’oggi un numero incredibile di possibilità e queste possibilità bisogna studiarle. Il cinema è del ‘caso per caso’. Io faccio questo mestiere da 40 anni, ho girato 38 film e non uno di questi mi è servito da esempio per quello successivo”.

E’ stato invitato al Festival di Firenze per l’anniversario della Nouvelle Vague. Vi parteciperà?
“Non posso andarci. E questa è una scelta. Non ci vado proprio a causa della ‘Nouvelle Vague’ poiché è un movimento che non ho mai sostenuto. Per me è retrogrado e non ha mai fatto avanzare di un passo l’evoluzione del cinema. I film della Nouvelle Vague non sono stati migliori della ‘Vague’ che li ha preceduti”.

Tra i giovani registi europei, quali sono coloro che possono opporsi alla standardizzazione hollywoodiana?
“La situazione, in questo momento, non è così chiara. Quello che serve è una generazione di nuovi cineasti che sappiano fare buon uso delle nuove tecnologie. Senza dimenticare gli attori. Non bisognerebbe far sì che le nuove tecnologie ci facciano dimenticare l’essenziale: le risate, le lacrime e gli attori. Jeunet, per esempio, ha meravigliosamente rispettato le nuove tecnologie e, allo stesso tempo, gli attori.”.

Quali sono i suoi progetti futuri. Sta preparando un altro film?
“Preparo una cosa grossa, molto molto grossa. Ma è talmente importante che non oso quasi parlarne. Probabilmente non ci sarà la mia ‘famiglia’ abituale di attori, ma non posso ancora dire niente”.

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