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Urszula Antoniak • Regista

“Il cinema è universale”

di 

- Dopo il successo di Nothing Personal, Urszula Antoniak torna con Code Blue, vincitore di due premi al festival dei Paesi Bassi.

Dopo aver entusiasmato il pubblico di Locarno e successivamente quello dei cinema di tutto il mondo, dalla Spagna agli Stati Uniti, grazie al suo debutto sul grande schermo con Nothing Personal [+leggi anche:
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, la regista polacca Urszula Antoniak, che vive e lavora nei Paesi Bassi, continua a esplorare i temi scomodi dell’esistenza con Code Blue [+leggi anche:
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, in cui si racconta di un’infermiera di mezza età in un reparto ospedaliero olandese per malati terminali. Il film è stato proiettato la prima volta in occasione della Quinzaine des Réalisateurs a Cannes, dove ha scatenato le polemiche.

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Cineuropa: Quando ha cominciato a lavorare a Code Blue?
Urszula Antoniak: Per me, tutto comincia dopo un’esperienza che mi entra dentro e che mi spinge a riflettere. Nel caso di Code Blue, il motore è stata la morte di una persona cara. Come regista, si è obbligati a superare di nuovo tutte le difficoltà a ogni film. Ma con Code Blue ho scelto consapevolmente di rischiare, scegliendo un tema tabù: la morte. Nothing Personal [+leggi anche:
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intervista: Urszula Antoniak
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era lirico, Code Blue vuole far discutere e stimolare le coscienze.

Quanto si somigliano le due protagoniste femminili dei film?
Entrambi i personaggi scelgono il loro ruolo nella vita. Anne di Nothing Personal sceglie la solitudine e non ha bisogno di fare molto per difendere questa posizione, a parte lottare contro il freddo e la fame. Marian di Code Blue sceglie l’invisibilità: una scelta non così difficile se si è una donna di mezza età. Nessuna cerca niente di speciale, ma le loro esistenze solitarie sono turbate da un’intimità non voluta: è questo il punto in comune tra i due film. Entrambi i personaggi sono redenti dall’intimità che vivono. Nel caso di Marian, un personaggio estremo, la redenzione è appunto estrema.

La morte è presente in entrambi i film. Come e perché la morte è “cinematografica”?
La morte è la componente principale della vita e quindi cinematografica per definizione. È anche il nostro ultimo tabù. Il sesso fa vendere, la morte no perché temiamo il suo orrore intrinseco e non vogliamo affrontarne l’aspetto spirituale. In Code, Marian è la morte che vive tra noi. È più di una metafora. Secondo me, è una realtà che molti di noi cercano di non vedere.

Come descriverebbe il rapporto di Marian con i pazienti moribondi?
I pazienti di Marian sono malati terminali e lei vuole partecipare alla loro morte. È quello che molte famiglie cercano di fare per i propri cari. Un paziente le permette di effettuare l’iniezione letale, un altro le resiste e lotta. Nel primo caso, Marian rappresenta la “morte secondo Heidegger", ovvero l’esperienza a cui continuamente tendiamo con consapevolezza. Nel secondo caso, rappresenta “la morte second Levinas", un assassino che si avvicina nella notte. La seconda esperienza fa germogliare il dubbio in Marian: è l’inizio del suo processo di umanizzazione.

Le polemiche a Cannes sui “contenuti scioccanti del film” hanno aiutato o danneggiato il film?
La polemica non è scaturita tanto dal film quanto dall’avviso dato al cinema. Non era un avviso standard come “Il film contiene scene che potrebbero turbare la sensibilità di alcuni spettatori”, ma “alcune scene potrebbero ferire i sentimenti degli spettatori”. Un avviso così scoraggiante potrebbe effettivamente danneggiare il film. Ma Code Blue suscita reazioni forti: alcuni spettatori sono sconvolti, altri turbati, altri profondamente commossi. Il film non lascia nessuno indifferente.

Ritiene che Code Blue sia un film più olandese rispetto a Nothing Personal?. O potrebbe essere ambientato ovunque? I due attori principali non sono olandesi....
Ho scelto gli attori più adatti ai ruoli: casualmente, Lars Eidinger è tedesco e Bien de Moor belga. Il cinema è universale. L’ultimo regista che ha cercato di realizzare un cinema nazionale è stata Leni Riefenstahl. Scegliere un attore è come innamorarsi. Vedi qualcuno e capisci che lui o lei può essere (più che recitare) il personaggio che hai in mente. Bien ha carisma. Ha la qualità rara di riuscire a incarnare gli opposti: il risultato è uno spettatore sedotto e incollato allo schermo. Bien è fragile e potente, commovente e odiosa, tenera e crudele. Lavorando con lei e Lars, abbiamo discusso temi, emozioni e sentimenti contenuti nelle scene. Questa modalità di regia può essere paragonata alla pittura astratta. Lavorare sulla psicologia dei personaggi è invece come la pittura figurativa: lo scopo è dare un’illusione del reale.

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