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Charif Kiwan • Collettivo Abounaddara

Arab Spring

di 

- "Utilizzare i canali di diffusione alternativi per uscire dall'impasse"

Con sede a Damasco, il collettivo di cineasti e artisti siriani Abounaddara ha scelto di protestare contro la repressione realizzando una serie di cortometraggi diffusi sul sito www.abounaddara.com. Ha inoltre deciso di utilizzare dei codici cinematografici e estetici forti, con un'identità collettiva e un portavoce.

Ci può parlare del collettivo Abounaddara e del suo lavoro durante la rivoluzione in Siria?

Abounaddara si è costituito nel 2010 attorno ad una società di produzione omonima. Abbiamo voluto utilizzare i canali di diffusione alternativi per uscire dall'impasse nella quale si trovava il cinema documentario in Siria (censura implacabile, produzioni praticamente inesistenti, pubblico "segreto", etc.). Utilizziamo una scrittura cinematografica disinibita che non ha paura di confrontarsi ad internet e ai piccoli schermi dei PC.

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Come filmare la rivoluzione? Quale parte prendere, quale scrittura utilizzare?

Ci siamo impegnati a realizzare un cortometraggio ogni venerdì come tributo alla rivoluzione. Ma non filmiamo la nostra rivoluzione come la si può vedere su YouTube, attraverso delle immagini caotiche e insopportabili. Noi cerchiamo piuttosto di farla conoscere attraverso delle storie di casi singolari, che stanno dietro all'attualità. Per noi si tratta di fare un cinema d'urgenza senza cadere nella tirannia dell'attualità, dell'informazione, di fare un cinema politico senza cedere alla facile denuncia sociale. Per fare un esempio, nel momento in cui il regime siriano assassinò dei bambini per spingere i siriani alla vendetta e alla guerra civile, noi abbiamo realizzato un film che evoca il dolore di una madre attraverso le inquadrature di un cimitero e di un aquilone, accompagnate dalla musica di una ninnananna intitolata Rima, che è anche il titolo del film. L’intento era di offrire allo spettatore dalle immagini diverse da quelle di cadaveri di bambini che circolano copiosamente tra i social network.

A quale condizione la libertà di espressione dei cineasti può stabilirsi oggi in Siria? C'è un contatto, una “trasmissione” tra la generazione di uomini e di cineasti impegnati, come Omar Amiralay, Hala Abdallah, Oussama Mohamed etc., e i giovani cineasti?

Per ottenere la loro libertà di espressione, i cineasti siriani devono convincere il loro pubblico che il cinema é necessario. Ciò è particolarmente vero trattandosi di cinema documentario che, dopo il fallimento dell'esperienza di Omar Amiralay nell’ONC syrien, ha dovuto rivolgersi ai festival internazionali e ai canali televisivi. Per quello che ci riguarda, in ogni caso, il sostegno pubblico ci ha permesso di fare dei film iconoclasti che trattano tanto di politica (The End), quanto di religione (Allah is elsewhere) o del sociale (The Wall). Noi speriamo così di riprendere il lavoro dei nostri predecessori, che con pochi mezzi hanno saputo delineare un cinema popolare di qualità prima dell'inondazione di Baath.

Cosa vi aspettate oggi dalle istituzioni e dai professionisti del cinema europeo?

Il cinema europeo é una fonte di ispirazione importante per noi. Così, i film che realizziamo dall'inizio della rivoluzione sono fortemente influenzati dai « film politici » fatti dopo il 1968 in Francia. Aspettiamo ora che l'Europa guardi i nostri film come noi abbiamo guardato i suoi. Più in generale, speriamo che la rivoluzione inneschi la messa in moto di un dispositivo di aiuto e di cambiamento favorendo la creazione di una sorta di Repubblica del Cinema comune alle due rive del Mediterraneo.

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