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Daniele Luchetti • Regista

I miei Anni felici tra arte e passione

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- Ambientato nell'estate del 1974 Anni felici di Daniele Luchetti racconta la storia, tra verità e finzione, della famiglia del regista

Daniele Luchetti • Regista

Ambientato nell'estate del 1974 Anni felici [+leggi anche:
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di Daniele Luchetti racconta la storia, tra verità e finzione, della famiglia del regista. Guido (Kim Rossi Stuart) è un artista che cerca la notorietà attraverso le performance d'avanguardia, Serena (Micaela Ramazzotti) una donna tradizionale in cerca di liberazione. Dario e Paolo, 10 e 5 anni, crescono osservando i genitori. "Sono cresciuto in un ambiente simile, da quando sono nato ho visto mille volte mio padre modellare,  scolpire, persino sul tavolo della cucina. Era uno scultore di formazione accademica ma voleva fare l'artista d'avanguardia, accanto alle madonne e cristi, c'erano esperimenti fotografici, idee di performance, libri, teatro d'avanguardia, mostre. Esattamente come nel film".

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Cineuropa: Ha scelto di raccontare l'aspetto più intimo, il rapporto con i suoi genitori.
Daniele Luchetti: "Ci ho messo del tempo perché ho cominciato a scrivere gli appunti sul film 15 anni fa e ci sono tornato sopra mille volte con gli sceneggiatori, cercando di tirar fuori qualcosa di buono. Il vero nodo si è sciolto quando ho capito che in questi appunti su aneddoti familiari mancava l'elemento principale: io e i miei genitori. Scavando in quel buco ho trovato questo film. Mi sono preso la libertà di reinventare molte cose per cercare di arrivare ad un sentimento autentico, mascherando i fatti in un gioco di specchi che li rendesse raccontabili.  Ho descritto mio padre non come un santino ma mostrando i suoi limiti, i suoi difetti e debolezze veri. Sapevo ch bisognava essere spietati, altrimenti il film sarebbe risultato falso".

Quello della famiglia è un tema ormai ricorrente nel suo cinema, se pensiamo ai suoi film precedenti.
"L'ho declinato per tre volte perché mi sembra potenzialmente inesauribile, non so nemmeno se finirà con questo film. Quando ho presentato Mio fratello è figlio unico [+leggi anche:
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in Israele ho incontrato uno scrittore che ho sempre adorato, Abraham Yehoshua, che mi ha detto che il tema della famiglia è quello che più rappresenta gli italiani, come la terra per gli ebrei e il successo per gli americani. Mi sono reso conto che quel film, attraverso un microcosmo, raccontava il Paese intero. Attraverso La nostra vita [+leggi anche:
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sono riuscito a raccontare qualcosa di molto più grande che mi interessava, una cosa che mi è particolarmente cara: il rapporto tra gli affetti, l'amore, l'espressione, l'ispirazione".

Gli anni 70. Cosa l'affascina di quegli anni?
"Le ragioni sono due.  E' stato un momento in cui i conflitti erano molto chiari, cioè le persone tendevano ad immaginare un futuro migliore,  a voler cambiare il mondo attraverso le idee, l'arte, il cinema, la musica, il teatro, la politica.  Questo è fonte di mille spunti narrativi . Poi c'è una ragione più stupida: non c'erano i telefoni cellulari.  Sembra assurdo ma il fatto che tutte le cose che accadevano tra le persone accadevano faccia a faccia, cinematograficamente è molto importante".

E dal punto di vista stilistico come ha affrontato quel periodo storico?
"Ho usato la pellicola, probabilmente per l'ultima volta nella mia vita. Lo zoom, la macchina a mano che usava Cassavetes in quegli anni, pochi movimenti di macchina, campo e controcampo come si usava in tv. Ho tentato di recuperare quello stile registico e anche di raccontare una Roma un po' moderna , la periferia con i grattacieli e contemporaneamente la vecchia Roma con gli studi degli artisti. 

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