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Samir • Regista

"Le nostre storie personali rappresentano una base comune che ci permette di conoscerci meglio"

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- BERLINO 2015: Samir, regista dell’attualissimo Iraqi Odyssey ci racconta del suo film e allo stesso tempo ci rivela le sue impressioni sulla Berlinale

Samir  • Regista

Samir, regista dell’attualissimo Iraqi Odyssey [+leggi anche:
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ci racconta del suo film e allo stesso tempo ci rivela le sue impressioni sulla Berlinale. Per il regista un appuntamento doppiamente importante in vista della presentazione del suo film nella sezione Panorama, insieme a quello della sua compagna (Dora or The Sexual Neuroses of our Parents [+leggi anche:
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), la regista svizzera Stina Werenfels, di cui lui è uno dei produttori. Una vera consacrazione per una coppia “fuori dal comune” che dopo vent’anni non smette di arricchirsi reciprocamente.

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Iraqi Odyssey e Dora or The Sexual Neuroses of our Parents sono accompagnati a Berlino da un altro film svizzero: Chrieg [+leggi anche:
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di Jean-Gabriel Périot, ugualmente presentato nella sezione Panorama.

Cineuropa: Che cosa significa in termini di visibilità la presentazione dei vostri lungometraggi nella sezione Panorama della Berlinale?
Samir: Come produttore considero la Berlinale una vetrina molto interessante per i film d’essai. Per quanto riguarda questo tipo di produzioni il mercato rappresentato dalla Berlinale è il secondo più importante dopo Cannes. Anche se sono stato molto contento di presentare Iraqi Odyssey alla prima mondiale al festival di Toronto, il mio distributore mondiale mi ha fortemente consigliato di partecipare alla Berlinale per promuovere il film a livello internazionale. Per prepararci a Berlino abbiamo quindi deciso di presentare il film in altri paesi come l’America Latina (Rio, San Paolo), i Paesi arabi (nello specifico Abu Dhabi dove Iraqi Odyssey ha vinto il Netpac Award for Best Asian Film, e a Tunisi). Tutto questo ci ha permesso di arrivare alla Berlinale con un buon bagaglio in termini di visibilità.

Parlando sempre da produttore devo ammettere che Dora è stato più difficile da “promuovere". Iraqi Odyssey invece affronta un tema internazionale e di grande attualità pertanto non è stato troppo difficile convincere la gente dell’importanza di fare un film come il mio.

Per un film come Dora invece è davvero dura convincere il pubblico della forza e dell’importanza del soggetto trattato. La concorrenza è molto forte: ci sono molti film “minori” di nuovi produttori che escono ogni anno. Per quanto mi riguarda, sono molto felice che il film sia stato presentato in anteprima alle Giornate di Soletta. Questo evento è stato una piattaforma molto importante per il film di Stina che ha attirato le attenzioni dei media svizzeri e tedeschi.

Come si è sviluppata la collaborazione tra lei e Stina Werenfels? Il suo ruolo di produttore (in Dschoint Ventschr) è stato in qualche modo diverso visto che conosce molto bene il lavoro e la sensibilità di Stina?
Come produttore non voglio assolutamente imporre la mia visione, in quanto questa potrebbe rompere il legame produttore-regista. Credo di essere un vero e proprio partner per i registi; oltre a discutere dell’importanza del tema trattato e della drammaturgia, posso, se loro me lo consentono, dare consigli da un punto di vista formale ed estetico sul film.

Mi vedo più come un attore che come un produttore, quando seguo un progetto, infatti, mi metto nei panni del regista, anche se il suo universo estetico è molto lontano dal mio. Divento in qualche modo una specie di suo gemello. E’ molto importante frequentare un “mondo” che non mi appartiene, ma del quale in qualche modo faccio parte. Quello che mi differenzia da un produttore “tradizionale” potrebbe essere che ogni giorno cerco soluzioni nuove ai problemi e questa capacità la devo soprattutto alla mia esperienza come regista.

Condivide il tema dell’identità con Stina? Entrambi vantate origini e bagagli molto ricchi di esperienze internazionali...
Stranamente trattiamo lo stesso soggetto ma il mio discorso è un po’ diverso poiché temi come globalizzazione e cambiamento d’identità mi spaventano; Stina al contrario tratta sempre il tema della differenza, il fatto di sentirsi uno straniero nella società in cui viviamo. A livello personale abbiamo una storia molto simile: lei è svizzera ma è cresciuta negli Stati Uniti, in Grecia e in Spagna. Quando è tornata in Svizzera all’età di tredici anni, si sentiva una straniera. Le nostre storie personali rappresentano una base comune che ci permette di conoscerci meglio. E’ davvero un peccato; quando ho presentato il mio film Iraqi Odissey in Svizzera, mi sono sorpreso nel vedere quanti dei miei più cari amici fossero stupiti nel vedermi “diverso”. Mi sono chiesto: sono davvero così integrato che nemmeno i miei amici riescono a vedere questo nuovo lato di me? E’ un po’ come se portassi una maschera.

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(Tradotto dal francese)

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