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Peter Greenaway • Regista

Verso un cinema cubista

di 

- Il regista inglese ha presentato a Cannes il primo episodio della sua opera più ambiziosa, The Tulse Luper: "La vita è da tutte le parti, lo schermo solo davanti"

Videointervista

Making of

Sono passati tre anni da Otto donne e mezzo, il suo ultimo film. E da tempo, Peter Greenaway, il regista degli enigmi, delle luci barocche, dei chiaroscuri crudeli, dei corpi nudi lasciati ad essiccare nell'inquadratura, della ferocia umana raccontata con le luci di Caravaggio, della mitologia, della musica ossessiva e minimalista di Michael Nyman, annunciava il nuovo film. Al punto che ci eravamo abituati all'idea che fosse solo un miraggio, un'ossessione, un'idea astratta.

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Invece, ecco The Tulse Luper Suitcases, le valigie di Tulse Luper, l'opera più ambiziosa e più costosa del regista inglese. Prodotto dal complice di sempre Kees Kasander e, fra gli altri, dall'italiana Gam film. Tulse Luper, per chi si sintonizzasse solo ora, è il nome dell'alter ego di Greenaway: nato tanti anni fa, quando Greenaway inventava folli storie su questo personaggio. "Luper deriva dal latino lupus, e Tulse è una deformazione di 'pulse', il polso, il battito della vita", spiega Greenaway. Ma ogni altra spiegazione è ammessa. In ogni caso, sarà un personaggio sfuggente, ambiguo, della cui esistenza dubiteremo fino alla fine. Fino alla fine di un progetto che nasce come una trilogia. Adesso arriva a Cannes la prima parte: le altre due, promette Greenaway, le vedremo a Venezia e a Berlino. Di quale anno, non lo dice.

Dice invece molte cose interessanti sul suo opus magnum: "lo schermo del mio film è diviso, si apre su rettangoli, su altri schermi. Ma non è che l'inizio. E' una stupidaggine che gli spettatori siano costretti per due ore a stare fermi, seduti, guardando avanti come buoi. La vita è da tutte le parti, sopra, davanti, intorno, dietro. Il cinema è solo davanti. Bisogna arrivare a un cinema cubista, dove lo schermo sia ovunque". E le valigie che danno il titolo al film, le valigie che il suo protagonista, Tulse Luper, lascia in giro per il mondo, come messaggi in una bottiglia? "La valigia è il luogo dove si impacchettano i propri averi, i ricordi e lo spazzolino da denti. E' il simbolo della nostra continua mobilità. Ed è rettangolare, come lo schermo del cinema".

Valentina Cervi fa parte del multiforme cast del progetto: si chiama Cissie Colpitts, altro nome-chiave nella mitologia greenawayana, nome di donna presente in almeno tre film, tra cui Giochi nell'acqua. E' lei l'angelo che salva Tulse Luper, ma è anche il diavolo che fa l'amore con una donna, è l'amore eterno che attraversa tutti gli episodi. "Che cosa si diceva sul set? Tra noi attori dicevamo: sai cosa dobbiamo fare oggi? Sai di che cosa parla il film? Nessuno sapeva niente, ma eravamo tutti conquistati, tutti entusiasti di fare parte di un progetto che intuivamo straordinario".

Fedele all'infedeltà storica e allo spiazzamento dello spettatore, Greenaway ha mescolato le carte dei luoghi del suo film: cosi' puo' accadere che giri a Lipsia chiamandola Anversa, o a Dinard chiamandola Parigi. Ma per il prossimo episodio, questo è sicuro, girerà a Torino, che sarà Torino anche nella finzione del film. Poi cercherà di convincere Madonna, che è non poco tentata, a entrare nel cast del terzo episodio. Se ne va staccando una frase delle sue: "Il cinema è poca cosa. Il mondo è ancora più divertente, imprevedibile e appassionante di qualunque film". Esclusi i suoi, forse, vorrebbe aggiungere. Nel secondo episodio, sempre secondo Greenaway, saranno nel cast Ornella Muti, Anna Galiena, Isabella Rossellini e Francesco Salvi.

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