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Alex de la Iglesia • Regista

“Mi piace filmare un dialogo come se fosse una lotta”

di 

- BERLINO 2017: Abbiamo intervistato il regista spagnolo Alex de la Iglesia, il cui ultimo film, El bar, è presentato in prima mondiale a Berlino

Alex de la Iglesia • Regista
(© Lorenzo Pascasio)

Il cineasta di Bilbao Alex de la Iglesia sbarca alla 67ª Berlinale per lanciare in prima mondiale – in sezione ufficiale e fuori concorso – El bar [+leggi anche:
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, e come produttore di Pieles [+leggi anche:
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, esordio di Eduardo Casanova, nella sezione Panorama.

Cineuropa: E’ a Berlino con due film: Pieles, come produttore, e El bar, come regista.
Álex de la Iglesia: Non ce l’aspettavamo e sono molto felice per entrambi. E’ curioso come il mio cinema sia accolto bene fuori: c'è il fattore sorpresa. Al contrario, in Spagna è dura lottare contro l’opinione nazionale ogni volta che presenti un film: è come sostenere un esame vitale costante. Inoltre, lotto contro me stesso ogni volta che mi si confronta coi miei film precedenti, come quando vai in un ristorante e ti manca la vecchia cuoca: tutto questo fa parte di un folklore che mi diverte e mi dà la sensazione di giocare in casa. Quando mi disturberà la reazione degli altri, dovrò smettere di fare cinema.

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Dirige e produce: si può dire che vive costantemente nel cinema?
Sì, sono riuscito a far sì che il cinema sia la vita, che non ci siano tempi morti. Tutto è cinema, perché quando non giro, sono impegnato come produttore. Sto vivendo un sogno: sono più felice qundo risolvo i problemi degli altri, come se fossi la ONG Registi senza frontiere (ride).

Produce Eduardo Casanova come fece Pedro Almodóvar con il suo primo film, Acción mutante.
Certo. E’ bello farlo quando vedi qualcuno che ha veramente passione. Pieles non è rischioso, è temerario: affascinante, un lavoro di regia incredibile, con un mondo personale indefinibile. Rispetto tantissimo Eduardo: vorrei avere il suo coraggio. Mi piace questo mio aspetto da "nonno puffo": arrivo sul set e dico a tutti di lasciare il bambino girare in pace, senza angosciarlo.

Nel suo film El bar compaiono nuovamente i nostri difetti: l’invidia, la sfiducia, la paranoia…
Sì. L'altro giorno ho letto una notizia che mi ha mostrato l'anello mancante tra l'uomo e la scimmia: un gruppo di bagnanti felici che si fanno selfie con un delfino... fino a quando non lo uccidono. Questo è l'essere umano: non abbiamo una visione globale delle cose e per farci un selfie con un delfino finiamo per ucciderlo. Lo stesso facciamo con le persone: se mi salvo io, chi se ne importa degli altri. Nessuno è consapevole del fatto che può causare una catastrofe in qualsiasi momento: le cose funzionano quando vedi tutto nell’insieme, non quando ti guardi l'ombelico.

Ha girato in un vero bar?
E’ tutta scenografia, una bella scommessa, poiché tutti mi dicevano: non se ne accorgerà nessuno. Mi piace molto la tecnica, il mestiere del cineasta, giocare con l'otturatore e la profondità di campo; quando fai tanti film inizi a goderti questa cosa, ti viene naturale. Prima pensavo a quale obiettivo  dovevo mettere: dopo 14 film, non devo farlo più... Questo genera nuove sfide: per questo il mio prossimo film, Perfectos desconocidos (leggi la news) è ancora più estremo, il set è un tavolo. Mi piace girare un dialogo come se fosse una lotta.

Lavora di nuovo con Terele Pávez, Blanca Suárez, Carmen Machi… dopo Mi gran noche [+leggi anche:
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Amo il concetto di troupe circense, ma non è altro che egoismo: già so come funzionano. Così riesco a girare poco, molto veloce e intensamente.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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